Si riallaccia a un precedente più che illustre Lesley Livingston per creare il mondo e i personaggi del suo Darklight. Lampi di tenebre. I nomi di Titania, Puck e Auberon/Oberon, specie se associati al teatro, non possono non richiamare alla mente una delle opere più famose di William Shakespeare, il Sogno di una notte di mezza estate. Ma se con il tono leggero e divertente degli intrecci amorosi, degli equivoci e degli incanti ambientati in un mondo tanto lontano da essere sfumato nel mito il Bardo ha creato uno dei suoi capolavori, il confronto è improbo per chiunque e l’ambientazione contemporanea della Livingston non risulta nulla più che una pallida eco di quelle atmosfere.

Non che l’autrice, dotata di uno stile fluido e scorrevole, sia totalmente priva di capacità di scrittura ma, a parte alcuni particolari come l’avversione di Kelly per gli specchi o un effetto collaterale del talismano che, suo malgrado, porta al collo, spesso si ha l’impressione che i dettagli magici siano un po’ forzati, adattati appositamente alla situazione per poter portare avanti la trama.

Quanto alla protagonista stessa, anche se la sua ignoranza delle regole del mondo fatato serve per poterle spiegare al lettore e giustificare alcuni comportamenti, a volte la sua testardaggine nel fare la cosa chiaramente sbagliata sfiora il limite della stupidità.

Il regno fatato è pericoloso tanto per i mortali quanto per le creature che vi appartengono di diritto ma che non conoscono il modo giusto di comportarsi o che non rispettano limiti che dovrebbero essere invalicabili, pur se a volte appaiono tracciati in modo arbitrario. E così la vicenda sentimentale della giovane protagonista, colpevole di aver involontariamente consentito nel volume precedente la liberazione di alcune delle creature più pericolose dei reami incantati, viene complicata da doveri che non lasciano spazio ai suoi desideri o a quelli del suo amato Sonny, da inganni e lotte all’ultimo sangue e dalla presenza di figure ambigue il cui ruolo non appare ancora completamente chiaro.

Miscelati in modo sapiente i vari elementi avrebbero potuto portare a un bel romanzo. Solo che, quasi costantemente, si avverte una sensazione di fastidio, d’imperfezione, che impedisce di calarsi completamente nella vicenda.

Un primo elemento di disturbo sono i dialoghi, che spesso oscillano da spiegazioni troppo didascaliche alla piattezza, nel tentativo mal riuscito di avvicinarsi a un linguaggio giovanile.

Un secondo problema, comune a molte delle moderne opere di urban fantasy, è legato al rapporto fra una comune diciassettenne e creature immortali che, per il solo fatto di essere vive da migliaia di anni, dovrebbero essere molto più esperte e astute della prima. Kelly e i vari esseri con cui lei interagisce invece sono spesso posti su un piano di parità, come se la determinazione e la forza dei sentimenti che guidano le loro azioni siano gli unici elementi importanti per poter determinare lo sviluppo degli eventi.

Non convince nemmeno il rapporto fra il nostro mondo e quello delle creature fatate, a volte presentate con passioni e modi di fare infantilmente umani, con il risultato di renderle inverosimili. Espressioni volutamente leggere – come una battuta di Sonny sul fascino della sua vita – invece di vivacizzare l’atmosfera la fanno apparire artificiale mentre la realtà quotidiana, nella quale un commento del genere avrebbe un senso, è quasi inesistente, con esseri fatati che compaiono in gran numero in ogni luogo.

Destinato a un pubblico di adolescenti, il romanzo trova la sua forza e insieme la sua debolezza nella forza stessa dei sentimenti che animano i protagonisti e che portano avanti la trama. Debolezza, perché l’aspetto sentimentale è l’unico motore di una storia che non può interessare lettori in cerca di altri elementi quali guerre, magie, avventure o un’ambientazione capace di divenire essa stessa protagonista. Forza se l’interesse del lettore – o più probabilmente della lettrice – è per la vicenda di un amore travolgente che sembra impossibile. In questo secondo caso la Livingston ha tutte le carte in regola per piacere, a patto di non soffermarsi troppo sui dettagli sopra citati.