C’erano abbracci e lacrime. 

«Sono tornato... sono tornato...» sussurravano miriadi di voci, che formavano tutte insieme attorno a lei un rumore confuso e diffuso ovunque, fino alle mura di cinta, fino alle risaie, fino all’orizzonte, per tutto il tragitto di quella lunghissima fiumana che cominciava lontanissimo e arrivava fino a lei, nel suo cortile. 

Sentì il dolore di quelli che erano partiti in tanti ed erano tornati in pochi. In fondo, dura come la pietra, c’era la nostalgia di quelli che non c’erano più, la nostalgia di quello che non c’era più e non ci sarebbe più stato. 

«Sono tornato, madre, ma mio fratello non c’è più.» 

«Noi eravamo tre e ci sono solo io...» 

«Mio fratello è morto... Mia cognata adesso è sola. Tre bambini di mio fratello e due miei: fa cinque... Come faccio a sfamare cinque bambini, che ho una gamba di meno? Mi vuoi anche così, vero, amore mio? Anche ora che sono storpio...» 

«Io sono tornato, amore mio, ma nostro figlio è rimasto laggiù, disperso nel vento con il fumo della pira funebre. 

Starò con te ogni istante, giorno dopo giorno, ci terremo per mano e lo ricorderemo, ricorderemo il giorno che è nato, ricorderemo i figli che non ha mai avuto...» 

«Mio cugino è morto... era figlio unico... dovrò dirlo io a suo padre... i suoi due figli...» 

«...Però li abbiamo fermati... Non sono passati... Ci abbiamo rimesso l’altopiano di Benevento, ma a Malevento li abbiamo fermati. Ce l’abbiamo fatta. Li abbiamo fermati. 

Un’unica battaglia e la guerra è finita.» Ancora più forte del dolore, anche più invincibile della nostalgia dei morti c’era la fierezza, la forza. Li avevano fermati. Il regno degli Uomini esisteva ancora. Gli Orchi non erano passati. 

«...E se tornano li fermiamo di nuovo, e se poi ci saranno solo vedove e orfani li fermeranno loro.» 

«...La bambina... guarda... la figlia del re... tale e quale a suo padre...» 

«...Gli somiglia talmente che sembra di vedere lui. Rankstrail, il re Bastardo degli Uomini è nel Mondo dei Morti insieme a quelli che abbiamo lasciato nel fango di Malevento, ma c’è sua figlia con noi. Anche tu combatti come tuo padre, bimba? La prossima guerra vieni anche tu, magari ci dai una mano e facciamo meglio...» 

Chiara sapeva di essere orfana. Era lei che doveva fermare gli Orchi quando sarebbero tornati? E come si faceva? E poi, quando si fermavano gli Orchi, c’era quello? Tutti quei feriti con il ricordo dei morti, le ossa rotte, le bruciature, le gambe e le braccia che avrebbero dovuto esserci e invece non c’erano? 

Zio Erik non era più in testa, ma in fondo, su una barella, insieme a tutti quelli che non potevano camminare. Le barelle erano trainate dai cavalli che ora, senza più alcuno splendore, avanzavano a passo lento trascinando il loro carico di dolore e bende insanguinate. 

I soldati che ancora si reggevano in piedi sostenevano i compagni feriti. 

C’erano bende sudicie di fango e di sangue, ferite aperte, l’odore micidiale della cancrena. C’erano bende che coprivano facce sfigurate, bende che fasciavano arti amputati. 

Tutto quel dolore sconvolse la bambina, la inondò. 

Era quella la guerra? Quando erano partiti con gli stendardi al vento e il pelo dei cavalli appena lucidato, lei aveva avuto l’impressione che la guerra fosse una specie di monumentale giostra. Una festa. 

Ora si rese conto del motivo delle lacrime: quelle di zia Fiamma, quelle delle altre donne, tutte le lacrime che aveva sentito risuonare dietro le porte chiuse. 

Si mise a piangere. 

«Non piangere, piccola» disse qualcuno. «Dovresti festeggiare. Noi per lo meno siamo vivi e siamo tornati.» 

«Portate mia nipote via da qui» disse la voce di zio Erik. 

«Chiamate mia moglie, che venga a prenderla. Allontanate la bambina, che non veda i feriti.» 

Chiara fu allontanata, ma era tardi, ormai aveva visto i feriti, gli amputati, gli ustionati. 

Mentre la balia la portava via, questa volta liberatorio scoppiò il pianto di zia Fiamma. 

Chiara sentì confusamente – era la prima volta che le succedeva – di possedere un segreto e di non essere in grado di recuperarlo, sentì che c’era qualcosa nascosto dentro di lei collegato con le ossa spezzate, le ferite, le ustioni, che però lei non riusciva a tirar fuori. 

E come se non bastasse, avrebbe dovuto fermare lei gli Orchi e non aveva idea di come si potesse fare. 

Di nuovo la sensazione di fallimento l’aggredì.