Potremmo definire Thor, diretto da Kenneth Branagh come la somma di due film differenti.

Uno all'insegna dell'azione e un altro all'insegna della crescita dei personaggi mediante il loro continuo rapportarsi e dialogare. Uno è il film voluto dai Marvel Studios, che Branagh dirige con competenza manageriale, e l'altro è il film che più appartiene al sentimento del regista inglese.

L'incontro definitivo tra le due anime del film si raggiunge nella parte centrale. Un costante e ben bilanciato equilibrio tra azione, interazione tra personalità e introspezione che durerà quasi fino all'epilogo, che per forza di cosa sarà invece all'insegna delle "botte da orbi". Come d'altra parte lo era la parte iniziale.

Ma il Thor che affronterà nel confronto finale il fratello traditore sarà un personaggio molto diverso da quello che all'inizio spaccava tutto quello che vedeva, e la crescita del personaggio è coerente e credibile.

E dire che il film non sembrava cominciare con queste direttive.

Dopo un incipit "in media res", il flashback asgardiano, per quanto imponente e spettacolare, è così gonfio di retorica da rischiare di stancare quasi subito. Un antefatto sicuramente importante ai fini narrativi e spettacolari, Thor che fa vorticare Mjolinir è un bel guardare, ma non possono essere solo gli effetti speciali ormai ad avvinghiare lo spettatore. Se il film fosse stato solo questo, sarebbe bastato per dirigerlo un buon mestierante degli studios, coadiuvato da una immensa macchina produttiva, 200 milioni di dollari di budget e da un adeguato cast tecnico. 

La vera svolta del film avviene nel momento in cui Thor viene esiliato sulla Terra. Non mancheranno spettacolari scazzottate, che porteranno il film a uno dei suoi momenti clou, quello in cui Thor si renderà conto della portata del castigo che il padre Odino gli ha comminato. Ma inframezzate ai momenti d'azione, sono le interazioni tra Thor, Jane Foster, il prof Andrews e la simpatica Darcy che faranno crescere lo spessore sia del personaggio che del film, che funzionerà al meglio proprio nelle parti dove non si agitano martelli, non si incrociano le spade, non vibrano le corazze etc. etc.

Il cast è funzionale allo scopo. Chris Hemsworth non passerà alla storia per la varietà delle sue espressioni, ma ha il fisico del ruolo. Natalie Portman compie il suo dovere, anche se ha avuto giorni migliori. Peccato che abbia poco spazio e poche battute la stagista Darcy, interpretata da Kat Dennings, la ragazza è da tenere d'occhio.

Stellan Skarsgård ed Anthony Hopkins non danno ai loro ruoli una marcia in più. Assolvono al loro compito con professionalità ineccepibile, ma non aspettatevi guizzi.

Uno dei veri eroi dell'adattamento è Heimdall, e Idris Elba è stato all'altezza della centralità del personaggio, pur se vincolato da una pesante armatura e dallo sguardo di un cieco, sopperisce egregiamente con il linguaggio del corpo.

Tom Hiddleston risulta anch'egli funzionale a una rappresentazione di un Loki privo del minimo carisma. Non ne ha mai avuto, neanche nei fumetti. E' un vile mentitore, privo di senso della morale. 

Buca lo schermo l'altro cattivo del film, Laufey, re dei giganti di ghiaccio grazie alla ottima prestazione vocale di Colm Feore.

All'altezza dello spazio e del ruolo dato ai personaggi sono gli interpreti di Lady Sif, Jamie Alexander, e del trio di guerrieri Volstagg, Hogun e Fandral, ossia Ray Stevenson, Tadanobu AsanoJosh Dallas.

Promette bene anche Jeremy Renner, che sarà Occhio di Falco nel film sui Vendicatori, presente in gustoso cameo, di quelli che fanno tanto Marvel Universe.

Non manca ovviamente il sorridente, al secolo Stan Lee, per non perdervi la sua breve apparizione vi dico solo di stare attenti a un pick-up bianco...

Nella norma tutto il reparto tecnico. Costumi, scenografie, effetti speciali, sono come dovrebbero essere se si pensa al budget speso. A mio modesto parere la rappresentazione del passaggio attraverso il Bifrost come attraverso uno Stargate non è una scelta felicissima. 

Siamo comunque in presenza di un film di buon livello tecnico ma che non alza l'asticella. Non sono state inventate nuove tecniche per questo film e non è stato superato lo stato dell'arte. 

Lo stesso 3D è praticamente inutile. Non aggiunge narratività. D'altra parte si tratta di un 2D convertito, e si vede.

L'Asgard dello scenografo Bo Welch, diligentemente disegnata, non riesce però a trasmettere stupore o meraviglia, molto meglio il pianeta dei Giganti, Jötunheimr. 

I costumi di Alexandra Byrne sono plasticosi come si temeva e si perdonano a fatica. Quella che non si perdona è la consistenza plastica al martello Mjöllnir. Peccato.

Senza infamia e senza lode la colonna sonora di Patrick Doyle. Per fortuna la parte musicale è salvata dalla bella canzone dei Foo Fighters, Walk.

Il lavoro di adattamento compiuto a partire dal fumetto ideato da Stan Lee, Larry Lieber e Jack Kirby è stato notevole e presenta degli spunti interessanti. Sul fronte asgardiano la sparizione del personaggio di Balder stupisce il fan. Ma credo che nella struttura della trama del film, fortemente incentrata sul dualismo Thor-Loki, e sulla fedeltà ma comunque subalternità di Sif e dei Guerrieri, l'introduzione di un potenziale attratore di carisma come Balder avrebbe solo portato confusione. 

Jane Foster è una donna moderna, ma neanche la Jane Foster di Stan Lee era un personaggio banale, se si rapporta al suo tempo. Portare la scena nel New Mexico, ha tolto alla saga una delle principali protagoniste: la città di New York. Che è poi una scelta condivisa da molte delle produzioni Marvel Studios. 

Personalmente mi manca la dimensione urbana dei supereroi. Le prime storie di Thor di Lee e Kirby sono state anticipatrici di molti dei temi dell'urban fantasy, popolando di meraviglie i paesaggi cittadini e usando magistralmente il contrasto tra l'apparente provenienza magica degli asgardiani e la concretezza del mondo moderno. 

L'apparizione dei guerrieri asgardiani nel modesto scenario della cittadina del New Mexico non ha la stessa forza. 

Una delle cose che poi ha funzionato meglio nei film su Spider-Man, che sono ancora il punto di riferimento ineguagliato di quasi tutte le produzioni sui supereroi Marvel, era proprio il rapporto con la città.

Ma forse la scelta dell'ambientazione è dovuta anche alla struttura narrativa del film, che ha nella parte centrale tutti i passaggi tipici del western: l'arrivo in città del buono che, inseguito si rifugia dalla bella; l'arrivo dei cattivi e il duello nella via principale della cittadina; l'arrivederci, con bacio finale e promessa di ritorno.

Continua in questo film la costruzione del Marvel Universe cinematografico. Abbiate la pazienza di aspettare la fine dei titoli di coda. La sequenza di raccordo, la migliore vista finora in un Marvel-film, stavolta è irrinunciabile.

In conclusione, siamo in presenza di buon un prodotto di intrattenimento godibile, non perfetto, non un capolavoro, ma che assolve diligentemente alla funzione di intrattenere per 130 minuti senza uno sbadiglio, e che non fa rimpiangere di averlo visto al cinema.