che batteva all’impazzata, lo sguardo sulle dita del suo signore.

«Uno» diede voce al segno.

I gemelli si bloccarono. Lentamente si voltarono verso di lui. Rivoletti di bava colavano dagli angoli delle loro bocche, ma c’era concentrazione sui loro volti deformi. L’Arconte riprese a muovere le mani.

«Io, Arconte Ossor, ti interpello, Veggente della Luce. Al termine dell’ultimo nostro incontro, hai predetto la caduta di Olm. Ora ti domando: la fine è vicina? 11*.»

Il gemello di destra roteò gli occhi. Poi fissò Aleb.

«17» rispose con voce stridula.

«19» disse l’altro.

L’Oracolo aveva risposto. Con la coda dell’occhio Aleb percepì il fremito della sacerdotessa.

L’Arconte intinse la penna nella ciotola che gli porgeva un’ancella e annotò la risposta. Con mani tremanti formulò il secondo interrogativo.

«Olm soccomberà a causa di guerre intestine, malattie e calamità? 101.»

«107» ribatté subito il gemello di sinistra.

«701» gracchiò l’altro.

Ecco perché i numeri dell’Oracolo dovevano essere due, realizzò Aleb. Ricordò di aver letto tra gli appunti di Ossor che più i numeri erano vicini o simili tra loro e più la risposta era interpretabile come un “sì”.

L’Arconte scrisse i due numeri sulla cartapecora, la consultò e gli comunicò la domanda successiva.

«Mi sono giunte notizie dalle Terre di Confine a nord del Regno. L’arcano potrebbe essersi davvero risvegliato? 727.»

Gli occhi del gemello di sinistra rotearono nelle orbite e di colpo si bloccarono.

«12721.»

«12821» sputò l’altro.

«13831» continuò il primo, con voce piatta e monotona.

«18181» concluse l’altro. I due presero a ondeggiare in maniera più pronunciata.

L’Arconte annotò la risposta. Fissò a lungo la cartapecora. Con gesti impacciati la srotolò per arrivare a consultarne il fondo. Aleb attese ancora prima che il suo signore formulasse la domanda successiva.

«Sarà l’arcano a provocare la caduta di Olm? 18481.»

«18521.»

«18523» confermò il secondo gemello con ripetuti cenni del capo.

L’Arconte scrisse i numeri. Consultò la pergamena, apponendovi alcune note. La fece scorrere fino a tornare a fissare i numeri appena scritti. Risollevò il capo, insieme alle mani.

«L’arcano fu annientato per l’Equilibrio.» Le dita esitarono. «Possibile che per salvarci dovremo appellarci ad esso? 19391.»

Il gemello a destra roteò i bulbi oculari, un’espressione di soddisfazione sul volto. Si alzò dallo sgabello e arrestò gli occhi.

«1022201.»

Anche il gemello a sinistra si alzò in piedi.

«1028201» replicò.

«111181111» aggiunse quello a destra. Una scia di muco gli colava dal naso.

«188888881» rispose l’altro. L’Arconte adagiò la cartapecora sulle cosce, le sue spalle crollarono sullo schienale della sedia. Il primo gemello sbattè le palpebre, il suo ondeggiare si fece più rapido. Prese a dondolare sui piedi, gli occhi si ribaltarono. Si immobilizzò d’improvviso.

«1888081808881» disse tutto d’un fiato.

«1888081808881» gli fece eco il gemello.

L’Arconte chinò la testa.

Le dita si mossero lente nell’aria.

«Abbiamo finito» gli diede voce Aleb.

L’Arconte Ossor era chino sullo scrittoio da quando avevano fatto ritorno nelle sue stanze. Appena arrivati, gli aveva ordinato di portargli il plico contenente le lettere inviategli anni prima da un certo Melzo, consigliere di Giloc, un paese sperduto nelle regioni a nord del Regno. Aveva poi voluto la mappa di quelle terre e infine la missiva, giunta di recente, del sacerdote della Luce che era stato assegnato al villaggio di Tilos qualche anno prima. Dopo aver passato in rassegna tutte quelle lettere, le aveva messe da parte e si era rituffato sulla cartapecora contenente i Numeri della Luce.

Aleb rimaneva in attesa, seduto di fianco al tavolo di marmo. L’Arconte adesso stava esaminando le risposte dell’Oracolo. Allungò una mano per afferrare il bicchiere con la tisana di spinavera e si tolse la maschera che gli celava il volto. Fini rughe solcavano la sua pelle, un velo increspato e cadente. Gli occhi acquosi, incavati in orbite scure, denunciavano la stanchezza accumulata negli ultimi mesi. Aveva la mascella contratta e le vene violacee ai lati della fronte erano gonfie. Aleb non lo aveva mai visto così agitato. L’Oracolo aveva fornito delle risposte, ma forse non quelle che l’Arconte si era aspettato. E, sebbene non avesse compreso il linguaggio dei gemelli, Aleb si era reso conto che il crescere dei numeri aveva tolto a Ossor la possibilità di formulare altre domande.

L’Arconte sollevò la testa per richiamare la sua attenzione.

“Convoca Indice Primo. Qui. Subito.”

Aleb si alzò, fece un rapido inchino e uscì dalla stanza. Fuori della porta, l’accolito Occam attendeva ordini.

«L’Arconte desidera vedere il suo Primo Indice. Che sia condotto qui il prima possibile.»

* Da leggersi “uno, uno”. Lo stesso vale per i numeri successivi.