Non mancano le idee interessanti al romanzo di Davide Morosinotto

L'ucronia delle guerre mondiali è un terreno già battuto ampiamente, ma l'autore cerca di dire la sua lavorando sia sul piano dei personaggi, che dell'ambientazione.

In questa I Guerra Mondiale ucronica, nella quale la tecnologia è superiore a quella che abbiamo conosciuto, e dove grazie ai progressi dell'informatica è stato possibile realizzare dei congegni, biplani ma anche carri armati sperimentali, in cui il cervello piloti e guidatori è collegato direttamente a un computer  chiamato Bio-Ordinatore Tattico (BOT), che gli consente di comandare il mezzo alla velocità del pensiero.

Questa tecnologia ha dei pesantissimi effetti collaterali, che minano la salute degli uomini. Ancora una volta lo sviluppo tecnologico è più veloce della capacità del cervello umano di adattamento. L'interesse delle nazioni in guerra viene anteposto alla salute dei singoli, specialmente considerando che nelle trincee muoiono in migliaia.

Come fu nella guerra che combatterono poco meno di un secolo fa, sono le giovani generazioni a pagare un prezzo altissimo.

E giovani sono i protagonisti di La notte dei biplani: il ricco Arthur Maddox, la cameriera Mary Tucker e il minatore John Davey. Una composizione tipica, un trio di amici tra i quali emergono i primi palpiti di un sentimento d'infatuazione, se non d'amore. Ma non c'è tempo per i sentimenti e i tre amici si troveranno tutti e tre, in modi e in tempi che la lettura del romanzo racconta, sul fronte del conflitto.

La vicenda comincia quando la figura di riferimento adulta, lo zio Richard Maddox, sparisce mentre stava lavorando a un congegno che fa gola agli Imperi Centrali che all'Alleanza Occidentale. Anche la natura di questo manufatto è parte integrante della scoperta della trama.

Sappiate che come in ogni miscela professionalmente realizzata, non mancherà la figura del mentore di riferimento, un professore di Eton che non è quello che sembra e che, come un deus ex machina, avrà delle risorse fin troppo propizie alla risoluzione di alcuni nodi della trama, che altrimenti non avrebbe avuto modo logico di proseguire.

Un problema del romanzo sono proprio i salti logici, le forzature narrative che forse avrebbero avuto necessità di qualche passaggio più graduale. Molte parti sono raccontate, con gli espedienti più vari, come molti scambi di e-mail, anzi di compumail, e rapporti vari, forse giustificati dalla necessità di non espandere troppo il romanzo nella sua foliazione. 

Spiazza l'improvviso abbandono del punto di vista di uno dei personaggi, in un fuori scena che sarebbe stato anche in questo caso molto spettacolare da mostrare più che raccontare.

La "rivelazione" finale poi, non sorprende veramente. Tanti ed espliciti gli elementi che lo annunciano. Viene da chiedersi se sia intenzionale, se il tentativo dello scrittore sia di incantare con il viaggio più che sorprendere con l'arrivo. Se non fosse così, saremmo di fronte a un finale troppo prevedibile.

Da appassionato giocatore di Wings of War, ho trovato l'ambientazione degna d'interesse, ma sul giudizio finale non pesano negativamente solo i difetti del romanzo, ma anche delle considerazioni sul "progetto". 

E' chiaro lo sforzo dell'autore di mettere nel romanzo molto del suo mondo e dei suoi trascorsi di lettore e appassionato, di riempirlo di idee a lungo cullate e ponderate.

Ma tale sforzo viene poi inserito in una catena di cui non tutti i passaggi sono responsabilità dello scrittore. Pur tuttavia è il nome di quest'ultimo a venire coinvolto nel momento in cui si esprime un giudizio critico e perplesso sul romanzo inteso come "operazione". 

Diventa infatti "operazione" un romanzo che venga presentato come "un modo originale di intendere la fantascienza", andando oltre la più modesta intenzione dell'autore, che non vuole certo passare per l'inventore delle Ucronie e che difendo a spada tratta. Sono certi eccessi che stanno rischiando di bruciare onesti scrittori dalle grandi potenzialità, ma che vengono troppo spesso presentati come "geni" o come "rivelazioni". Il rischio di irritare il pubblico dei lettori è tangibile.

Promettere buone storie di "genere" leggibili sarebbe già un obiettivo ammirevole, per i miracoli sarà meglio attrezzarsi.

Auspico che in prossime prove, che presentino un vero equilibrio tra espressione artistica ed esigenze di mercato, e non uno smaccato sbilanciamento verso il secondo, l'autore possa esprimersi al suo meglio.