Andrea Camilleri ha inaugurato il 2012 con un libro dal titolo intrigante,

Il Diavolo, certamente, raccolta di trentatré racconti brevi, anzi brevissimi (tre pagine ciascuno, numerati e senza titolo) a tema comune: lo zampino di Lucifero, che stuzzica, provoca, scoperchia e amplifica vizi, misfatti, debolezze e meschinità umane.

L’autore siciliano racconta di scontri accademici, fatalità tragiche o tragicomiche, piccoli vizi e poche virtù, passioni  improvvise, tradimenti di ogni genere e grado.

Il tono colloquiale a cui Camilleri ci ha abituati interpreta e definisce il carattere poliedrico delle storie narrate, diventando di volta in volta cinico, drammatico, ironico, amaro.

Nonostante il titolo, c’è poco di  arcano e molto di umano in questa antologia, che offre situazioni  sostanzialmente realistiche, capaci di toccare i molteplici punti del nostro “lato oscuro”.

Il filo conduttore dei racconti non è così univoco come potrebbe sembrare: il Diavolo raccoglie sotto le sue ali rostrate non solo il Male con la maiuscola, ma anche piccole malvagità quali cattiveria, invidia, gelosia, lussuria, superbia, e soprattutto, senza disturbare troppo l’elenco dei peccati veniali, ciò che comunemente chiamiamo  fatalità o meglio

(s)fortuna. A volte meritata (una sorta di “giustizia diabolica”, N.17), a volte no.

Quello di Camilleri è un Satana tremendo in alcune occasioni, ma anche un “piccolo diavolo” nelle cui birbanterie feroci è sotteso forse un significato più profondo: se il diavolo è nei dettagli, la sua azione più grave è confondere la verità delle cose.

Ciò che non sembra perfettamente riuscito in questa raccolta non è l’ammiccare a un sovrannaturale che non c’è, né l’idea di base (molto interessante) o tanto meno lo stile (sempre impeccabile) ma piuttosto il “corpo” dei racconti. Accanto a storie perfettamente godibili per caratterizzazione  e struttura, ne troviamo molte che sembrano piuttosto appunti  da sviluppare  o bozze rudimentali ripescate per l’occasione, o addirittura barzellette espanse: per esempio la 16, dove un sant’uomo è spinto alla dannazione da un paio di lapsus da osteria.

Molti dei personaggi appaiono tagliati con l’accetta e cascano nello stereotipo, rasentando la caricatura senza ottenerne l’effetto satirico.

Il marito, la moglie e l’amante sono il vecchio triangolo “Isso, Issa e o’ Malamente” di Meroliana memoria: si cornificano, mentono con maggiore o minore successo, finiscono a volte becchi e bastonati. Oppure ammazzati.

Spesso deludono i finali: “telefonati”, inverosimili, eccessivi nella risoluzione, o (b)anali in stile Freud se non addirittura fuori tema.

La sensazione conclusiva è di avere di fronte un’antologia realizzata a tutti i costi senza avere a disposizione  il materiale necessario, e questo dispiace abbastanza.

Il diavolo, maligno per definizione, potrebbe dire: è tutto davvero un autentico Camilleri il contenuto di questo libro?