Nel romanzo non sembrano esserci vincitori e vinti, ma solo vittime. Concordi?

Se parliamo dei personaggi, sì; sono tutti delle vittime, anche chi riesce a raggiungere i propri scopi. Tuttavia un vincitore c'è, ed è l'Impero. Che a ogni nuova ribellione apprende un nuovo modello di dominio. 

Quali società hai preso a modello nella costruzione del tuo mondo narrativo?

Tante. L'Impero, per esempio, assume in sé caratteri dell'Impero cinese, di quello romano, degli USA globalizzanti, e di tante altre forme di potere. Non ci sono paralleli precisi per quanto riguarda i modelli in particolare, perché mi sono concentrato sulle basi antropologiche. Ovvero non cercavo di criticare nessun caso particolare, ma di parlare di ciò che ne sta alla base: le varie forme di dominio, gli adattamenti e i mutamenti culturali che vivono le società. 

Quanta attenzione hai dedicato alla costruzione del mondo?

Tantissima. Ormai sono quasi dieci anni che lavoro su questa ambientazione, con continui perfezionamenti. Lo sguardo è sempre rivolto al mondo odierno, alla fase storica che stiamo vivendo. Per questo, alcuni aspetti della mia ambientazione possono risultare poco profondi, o poco credibili; ma in realtà a me interessa che sia profonda e credibile nella sua costruzione sociale e culturale, e che possa contribuire a una riflessione sul nostro mondo. 

I personaggi sono nati prima del mondo o viceversa?

Prima è nato il mondo, poiché è una parte dell'ambientazione che gran parte dei miei romanzi condividono. Tuttavia si tratta sempre di romanzi autoconclusivi, mai troppo lunghi, che a volte condividono gli stessi personaggi e gli stessi luoghi. Non è mia intenzione presentare una saga infinita da migliaia di pagine, ma diverse sfaccettature del mondo fantastico – e quindi anche del nostro mondo – con uno sguardo antropologico.

Prevedi altri sviluppi per la tua ambientazione?

Penso di aver raggiunto la versione finale. Anche perché ho cominciato a pubblicare romanzi che ne fanno parte, quindi non posso più cambiare le carte in tavola. Qualche aggiustatina dove serve. I prossimi romanzi ambientati in questo mondo, che in parte sono già scritti, svilupperano differenti luoghi e differenti personaggi.

Hai altri progetti in corso?

Sì, sto per pubblicare un saggio di antropologia economica sulla mezzadria in Toscana. Per quanto riguarda il fantasy, sto finendo di revisionare un romanzo ambientato nello stesso mondo di Sangue Ribelle. Inoltre sto lavorando a un progetto letterario interattivo, che sfrutta il web e le nuove tecnologie, di cui però non anticipo nulla per non rovinare la sorpresa.

Pensi sia possibile per uno scrittore realizzare storie al di fuori delle metafore e delle allegorie del mondo reale?

Certo. Penso che la letteratura d'intrattenimento riempia più scaffali di quella con altri scopi. Tuttavia è difficile, secondo me, che un semplice romanzo d'intrattenimento, anche se fantastico, possa risultare completamente slegato a qualche forma di metafora del mondo reale. Difficile che un autore riesca a non trasmettere neppure un briciolo della sua particolare visione del mondo, dei suoi modelli culturali, nelle sue opere. Il mio scopo con Sangue Ribelle e gli altri romanzi della mia ambientazione è chiaro: cerco di coniugare l'intrattenimento alla critica antropologica. Quando si fanno tentativi così ambiziosi, si rischia di prendere il peggio da entrambi gli ambiti e non combinare nulla di buono; il tentativo è quello di prendere il meglio da entrambi gli ambiti, e creare qualcosa di originale e duraturo, capace di influenzare attivamente il lettore. Che non sia una banale lettura da spiaggia, insomma, come un libro usa e getta; ma il veicolo di un pensiero, di un'idea, di una spinta filosofica personale. È il valore del dubbio: o ti fa cambiare idea, o rafforza quella che già hai. Comunque, non credo che il mio sia l'unico approccio possibile. Anzi, gli scaffali delle nostre librerie sono pieni di storie avventurose scritte per il solo gusto di intrattenere. E non è un male, anzi, è giusto che sia così. Diventa ingiusto, a mio avviso, quando sono gli unici libri presenti negli scaffali. Ingiusto, pericoloso e degradante, sia per gli scrittori che per i lettori.

Il fantastico offre una marcia in più o dei limiti?

Per certi versi offre una marcia in più. Ti permette di parlare con più libertà di certi temi che stanno alla base delle culture e delle società, e che altrimenti rischiano di essere condizionati dall'attualità storica oppure dalle posizioni politiche. Ad esempio l'integrazione, i rapporti tra le culture, le rivendicazioni dei popoli, la religione: nel nostro mondo sarebbe impossibile parlarne esulando dalle prese di posizione dei partiti politici o delle istituzioni religiose. In un romanzo fantastico si può parlare (e per parlare intendo stimolare una riflessione, una ricerca, un dubbio nel lettore) di questi argomenti assieme a una narrazione avvincente. Un saggio potrebbe farlo con maggiore successo, ma a parte gli addetti ai lavori, chi lo leggerebbe? C'è bisogno di una via di mezzo, secondo me.

Per quanto riguarda i limiti, ce ne sono eccome. Da una parte c'è il pregiudizio del resto della letteratura (si parlava in questi giorni di un nobel negato a Tolkien, mi pare), come se fosse una letteratura di serie B; e forse, per certi aspetti, lo è. D'altra parte, la nostra storia e il nostro mondo sono forse più avvincenti di qualsiasi romanzo fantastico. Potrei prendervi un'etnografia di uno sconosciuto popolo africano, e con certi ritocchi sembrerebbe un romanzo fantastico: perché non siamo abituati a entrare in contatto con culture diverse, la loro estraneità a volte può sembrare stravaganza. Già per noi la religione islamica o ebraica sono lontanissime e incomprensibili; eppure sono molto simili alla nostra, se paragonate al resto del mondo o della storia. 

Plaudo senza mezzi termini di fronte alla tua scelta di non strizzare l'occhiolino al pubblico "giovane". Quale pensi che sia il tuo lettore di riferimento?

Ho sempre cercato di scrivere storie a più livelli di lettura, e penso che questo possa aumentare i lettori di riferimento. Le storie spesso sono crude, lo ammetto. A volte affronto i temi della moralità, quindi ci possiamo trovare di fronte a scene che possono realmente turbare. Sicuramente aspetterei i sedici anni prima di farle leggere ai miei figli!

Pensi che sia possibile scrivere per giovani senza prenderli per disimpegnati (o peggio)?

Non sono un vecchietto, ma sicuramente i ragazzini di oggi sono più svegli di me, quando avevo la loro età. Merito o colpa di internet, della televisione, del marketing pubblicitario. Non apprezzo quando le case editrici etichettano come "junior" i libri destinati agli adolescenti. Sicuramente si può scrivere per loro senza limitarsi al puro intrattenimento. D'altrone, imparano Platone e Aristotele quando hanno quindici-sedici anni, perché non dovrebbero poter apprezzare dei libri un po' più impegnati, scritti da autori non certo al livello dei maestri greci? Viceversa, non credo neppure che i "vecchietti" dovrebbero limitarsi alla saggistica, o ai polpettoni della letteratura ottocentesca. Peggio ancora, ai libri dei giornalisti. Un romanzo d'intrattenimento a volte è preferibile al solito commento politico sull'attualità. 

Cosa vorresti realmente sentirti chiedere del romanzo?

Questa intervista l'ho apprezzata particolarmente, e non per fare la sviolinata. Perché mi permette di parlare di temi che mi stanno a cuore. Stessa cosa è accaduta durante l'ultima presentazione: un quarto d'ora passata a parlare dei personaggi e della storia, mezz'ora passata a dialogare con il pubblico di antropologia e di problemi del nostro mondo. Questo è ciò che volevo, uno stimolo al dialogo e alla riflessione. Perché certi temi antropologici fanno pienamente parte della nostra vita.