Il tonfo sordo delle accette cominciò a fendere l’aria delle montagne, da dietro l’angolo del capanno. Bytsan fece un cenno. Tai si allontanò insieme a lui. Camminarono attraverso

l’erba alta, tra le ossa e sopra di esse. Tai evitò un teschio, un gesto istintivo ormai.

C’erano farfalle ovunque, di tutti i colori, e cavallette sorprese dal loro passo che si allontanavano di scatto saltando in tutte le direzioni. Udirono il ronzio delle api indaffarate tra i fiori del pascolo. Qui e là si intravedeva il ferro di una lama arrugginita, fin sulla grigia spiaggia lambita dalle acque del lago. Bisognava fare attenzione a dove si mettevano i piedi. Nella sabbia c’erano pietre rosa. Gli uccelli schiamazzavano, volteggiando pazienti prima di scendere in picchiata per rompere la superficie liscia del lago in cerca di pesci.

«È ancora fredda, l’acqua?» chiese Bytsan dopo un po’.

Si fermarono in riva al lago. L’aria era limpida; si riuscivano a scorgere i crepacci sulle cime dei monti e le gru sull’isola, nella fortezza in rovina.

«Sempre.»

«C’è stata una tempesta nel valico, cinque notti fa. È arrivata anche quaggiù?»

Tai scosse la testa. «Solo un po’ di pioggia. Dev’essersi diretta verso est.»

Bytsan si chinò e prese una manciata di pietre. Cominciò a tirarle agli uccelli.

«Il sole picchia, qui» disse. «Posso capire perché porti quell’affare sulla testa, nonostante ti dia l’aspetto di un vegliardo e di un villico.»

«Entrambi?»

Il Taguran sorrise. «Entrambi.» Lanciò un altro sasso. Poi disse: «Stai per andartene?»

«Presto. La luna di mezza estate segna la fine del nostro periodo di lutto.»

Bytsan annuì. «È quel che ho scritto loro.»

«Loro...?»

«La corte. A Rygyal.»

Tai lo fissò. «Sanno di me?»

Bytsan annuì di nuovo. «Sono stato io a dirgli di te. Certo che sanno.»

Tai rifletté per un momento. «Non credo che ai Cancelli di Ferro si siano preoccupati di mandare messaggi alla capitale sul fatto che ci sia qualcuno che seppellisce i morti a Kuala Nor, ma potrei anche sbagliarmi.»

L’altro uomo si strinse nelle spalle. «Probabilmente sbagli, sì. Ogni cosa viene valutata e tenuta sotto controllo, in questi giorni. I tempi di pace appartengono ai calcolatori, in ogni corte. Ce n’erano alcuni, a Rygyal, che hanno visto la tua venuta qui come un gesto di arroganza da parte del Kitai. Ti volevano morto.»

Ecco un’altra cosa che Tai non sapeva. «Come quel soldato di prima?»

Le due accette erano ancora al lavoro, in lontananza, ognuna con il suo suono chiaro e distinto. «Gnam? È soltanto giovane. Vuole farsi un nome.»

«Uccidendo un nemico appena possibile?»

«Farlo subito, e in fretta. Come la prima volta con una donna.»

I due si scambiarono un sorriso veloce. Entrambi erano ancora relativamente giovani, ma nessuno dei due si sentiva tale.

Dopo un momento, Bytsan disse: «Mi è stato detto che non avresti dovuto essere ucciso.»

Tai sbuffò. «Felice di sentirtelo dire.»

Bytsan si schiarì la gola. All’improvviso sembrò impacciato. «Ti hanno mandato un dono, invece, un riconoscimento.»

Tai tornò a fissarlo. «Un dono? Da parte della corte Taguran?»

«No, da parte del coniglio sulla luna.» Bytsan fece un ghigno. «Certo che è da parte della corte. Be’, più che altro da parte di una persona in particolare, con l’autorizzazione della corte.»

«Autorizzazione?»

Il ghigno si tramutò in un sorriso. Il Taguran aveva la pelle scurita dal sole, la mascella squadrata, e gli mancava un molare inferiore. «Sei particolarmente lento, stamattina.»

Tai rispose: «È una cosa inaspettata, ecco tutto. Chi è questa persona?»

«Vedi da te. Ho qui una lettera.»

Bytsan frugò in una tasca della sua tunica e ne estrasse un rotolo di un giallo pallido. Tai vide il sigillo reale dei Taguran: una testa di leone, su ceralacca rossa.

Ruppe il sigillo, srotolò la missiva, ne lesse il contenuto, che non era lungo, e apprese così quel che gli era stato donato per il tempo che aveva passato lì, tra i morti.

All’improvviso provò difficoltà a respirare.

I pensieri arrivavano troppo in fretta, incontrollabili, disconnessi, vorticosi come una tempesta di sabbia. Quella ricompensa avrebbe potuto ridefinire la sua vita; o farlo uccidere prima ancora che riuscisse a fare ritorno a casa della sua famiglia, per non parlare di Xinan.

Deglutì rumorosamente. Guardò verso le montagne, ammassate in gigantesche file attorno a loro, erte contro il cielo, sempre più in alto, un maestoso anello che circondava il blu del lago. Secondo gli insegnamenti della Via, le montagne erano simbolo di compassione, l’acqua di saggezza. Le vette rimanevano immutate, pensò Tai.