– Ehi ho, ehi ho, a parlar di delitti vo – canticchiai da quella stonata che ero, mentre mi chiudevo il cancello alle spalle.

Ciascuna delle quattro villette “possedeva” due spazi per parcheggiare, e ce n’erano di aggiuntivi sull’altro lato della proprietà, per i visitatori.

Il mio vicino che abitava due porte più in giù, Bankston Waites, stava salendo in macchina.

– Ci vediamo là – mi avvertì. – Devo prima passare a prendere Melanie.

– D’accordo, Bankston. Stanotte si parla di Wallace!

– Già. È una cosa che aspettavamo con impazienza.

Avviai l’auto, ma per cortesia permisi a Bankston di lasciare per primo il complesso per andare a prendere la sua innamorata. Provai l’impulso di scivolare nell’autocommiserazione per il fatto che Melanie Clark aveva uno spasimante mentre io arrivavo sempre da sola alla sede del Real Murders, ma mi rifiutai d’incupirmi. Avrei visto i miei amici e avrei passato un piacevole venerdì sera, come al solito, o forse anche meglio del solito.

Mentre facevo retromarcia, notai che la villetta accanto alla mia aveva le finestre illuminate e una macchina sconosciuta che occupava uno degli spazi a essa assegnati: evidentemente, era stato a questo che aveva inteso alludere il messaggio di mia madre fissato con il nastro adesivo alla porta posteriore.

Lei insisteva da tempo perché mi procurassi una segreteria telefonica, in quanto gli affittuari delle villette (che a dire il vero erano sue) avrebbero potuto aver bisogno di lasciarmi, in qualità di amministratore, qualche messaggio mentre ero al lavoro alla biblioteca. In realtà, ero convinta che lei volesse sapere di poter parlare con me anche quando non ero a casa.

Avevo fatto pulire la villetta accanto alla mia dopo che gli ultimi inquilini se n’erano andati, quindi era stata in condizioni ottimali per essere mostrata, come ribadii per rassicurarmi. Dato che quello era il mio sabato libero, l’indomani sarei andata a fare la conoscenza del nuovo vicino.

Percorsi Parson Road fino a oltrepassare la biblioteca dove lavoravo, poi svoltai a sinistra per raggiungere l’area di piccoli negozi e stazioni di servizio dove si trovava la VFW, la sede dell’associazione dei veterani di guerra. Per tutto il tragitto, continuai a ripassare mentalmente la conferenza.

Per quello che mi servì, avrei anche potuto lasciare a casa i miei appunti.

Il Real Murders si riuniva nella VFW Hall e pagava una piccola somma ai veterani per godere di quel privilegio. Dal momento che quella somma andava ad arricchire il fondo per l’annuale party di Natale della VFW, tutti erano contenti di quella soluzione; naturalmente, l’edificio era molto più grande di quanto richiedessero le esigenze di un piccolo gruppo come il Real Murders, ma ci piaceva la privacy del posto.

Un funzionario dell’associazione incontrava un membro del club davanti all’edificio trenta minuti prima della riunione e apriva la porta. Da quel momento, il membro del club era responsabile di rimettere la stanza nelle condizioni in cui l’avevamo trovata e di restituire la chiave alla fine della riunione.

Quell’anno, l’incarico di “aprire” spettava a Mamie Wright, in qualità di vicepresidente. Lei avrebbe disposto le sedie in semicerchio davanti al podio e preparato un tavolo per i rinfreschi, che portavamo a turno.

Quella sera arrivai in anticipo. Del resto, arrivavo in anticipo quasi dappertutto.

C’erano già due auto nel parcheggio, che era situato alle spalle del piccolo edificio ed era circondato da una siepe di mirti ancora grottescamente spogli. Le lampade ad arco del parcheggio erano accese, cosa che facevano automaticamente al tramonto, e io badai a parcheggiare la Chevette sotto il raggio di luce di quella più vicina alla porta. Gli appassionati di omicidi sono fin troppo consapevoli dei pericoli del mondo.

Mentre entravo nell’atrio, la pesante porta di metallo si richiuse rumorosamente alle mie spalle. Nell’edificio c’erano cinque stanze; l’unica porta presente nel muro alla mia sinistra dava accesso alla grande sala principale, dove tenevamo le nostre riunioni, mentre le altre quattro alla mia destra portavano rispettivamente a una piccola sala conferenze, alle toilette e, in fondo al corridoio, a una piccola cucina. Come al solito, tutte quelle porte erano chiuse, dato che bloccarle in posizione aperta non era cosa da poco.

Eravamo giunti alla conclusione che la VFW Hall fosse stata costruita in modo da poter sostenere un attacco nemico, e comunque tutte quelle porte massicce facevano sì che la piccola costruzione fosse molto silenziosa. Anche in quel momento, pur sapendo che all’interno ci dovevano essere almeno due persone, non si sentiva nessun rumore.