Tratto da un romazo del 2008 scritto da Suzanne Collins (anche sceneggiatrice del film), la pellicola riporta in auge alcuni cult degli '80 aggiornandoli al nuovo millennio ed inserendoli nel mondo dei reality show.

Con le dovute (e ben contestualizzate) citazioni orwelliane, con il richiamo al capolavoro trash del sol levante Battle Royale (che ispirò già Tarantino per la giovane killer Gogo Yubari), aggiorna il mito di L'Implacabile (alias The Running Man, pellicola classe 1987 con Arnold Schwarzenegger in una situazione simile, sebbene meno tecnologica e gli show a premi come contesto globale) riportandolo ad una futuribile società distopica di stampo greco-romano.

Ogni anno, in una futura America pacificata dopo sanguinose guerre civili, 12 ghetti denominati distretti (un tempo erano 13, ma l’ultimo è stato raso al suolo) sono costretti a donare un ragazzo ed una ragazza tra gli 8 ed 12 anni per partecipare ai crudeli Hunger Games. 

In questo gioco al massacro, 24 ragazzi e ragazze partecipano ad una sfida gladiatoria in un ambiente ostile: solo uno può vincere e sarà colui che sopravvivrà alla lotta con il letale scenario di combattimento simulato (in questo caso una foresta) e gli altri concorrenti.

Dal distretto 12, vengono sorteggiati Katniss Everdeen alias la bella Jennifer Lawrence (X-men l’inizio) disposta a sacrificarsi in vece della sorella minore, ed il fornaio Peeta Mellark alias Josh Hutcherson (Viaggio nell’isola misteriosa), trasportati alla capitale, diventeranno parte dello spettacolo legato agli Hunger Games.

Un cast vario di stelle e giovani esordienti dove troviamo il veterano Stanley Tucci nei coloriti panni del presentatore Caesar Flicherman e Woody Harrelson, perfetto doppio dell’alcolista Haymicth Abernathy: mentore dei ragazzi e vincitore di una precedente edizione degli Hunger Games.

Il film difetta per una regia sonnecchiosa e appare bipolare nel suo sviluppo creando una apparente separazione tra le scene fuori e dentro l’arena: le prime sviluppano il contesto culturale legato ai ludi gladiatori ed approfondiscono l’architettura nonché la struttura di una società manipolata dai media con leggeri richiami alla propaganda nazista; le seconde abbandonano tutti in favore dell’azione fine a se stessa e poco dinamica nel suo movimento narrativo.

Oltre ai protagonisti, i personaggi minori risultano appena accennati (nei romanzi vengono sviluppati in seguito, almeno alcuni di essi) quanto determinanti per la trama: da Donald Sutherland, gelido Presidente Snow a Wes Bentley, che con pizzo e baffetti diviene il regista Seneca Crane, perfetto per spalleggiare l’esordio al cinema di un Lenny Kravitz, nei panni di Cinna lo stilista, dal quale tutti vorremo un abito su misura.

Proprio Cinna è l’alter Ego della costumista Judianna Makovsky, tre volte candidata all’oscar, che ha superato se stessa nel creare la moda di Panem in maniera unica e dinamica unendo tessuti sintetici e fogge classiche con elementi dichiaratamente futurologici senza tralasciare l’alta qualità dei costumi per la sfilata dei tributi (narrativamente elaborati da Cinna e determinanti all’interno della storia) fino agli indumenti da sopravvivenza e combattimento indossati nell’arena.

Purtroppo, oltre ai meriti di base, alla buona idea, agli eccellenti costumi e alle ottime prestazioni attoriali dei giovani quanto dei professionisti, il film (comunque campione di incassi) oltre alla mancanza di regia, non riesce a decollare per un problema di adattamento del romanzo che lascia nella narrazione filmica molti buchi di sceneggiatura lavorando a favore di chi ha già letto il libro.

Molti gli spunti perduti nel dipanarsi della storia e molti i sottintesi non spiegati o caduti nel vuoto, un vero peccato per un film che poteva certamente regalare qualcosa di più visti i mezzi tecnici e recitativi a propria disposizione.