E caddero anche il figlioletto traballante della coppia, il cugino di Brace, il grosso mezzo di trasporto del nonno che un tempo lo faceva volare per mari e per monti... il Mago formulava il suo incantesimo e, insieme a Nuvola, si scansava di scatto quando un nuovo drago atterrava. Mentre, di volta in volta, cercavano di spiegare al nuovo arrivato cosa stesse accadendo, gli abitanti del villaggio si facevano loro intorno e apparivano sempre più stupefatti e felici. I draghi, un po’ perplessi un po’ addormentati, innalzavano i colli squamosi verso il cielo, alla ricerca dei loro compagni, e puntavano le possenti ali verso nuvole dall’aria familiare.

Ed ecco che il nuovo drago faceva proprio quello che Tramonto gli aveva ordinato con l’incantesimo. La nube si disfaceva, il colore riaffiorava, la forma si metteva in movimento, volava e planava.

E draghi, draghi, ancora draghi, presero a svolazzare sulle Lande, lasciando spazio a qualche debole spiraglio di sole.

Ma il sole era ancora nascosto da quelle losche sagome che incombevano su di loro, alternate ai vuoti lasciati dalle bestie ormai scorazzanti per il villaggio.

E mancava solo un giorno.

– Dopo tutto quello che abbiamo fatto, credo che un incantesimo come quello della pioggia non sia così difficile da trovare – esclamò Nuvola, ottimista.

– Certo. So benissimo dove trovarlo – rispose il Mago, risoluto. – Andremo subito a finire il nostro lavoro. – Poi, tentennò. – Ma prima vorrei dirti una cosa...

Il cuore di Nuvola prese a battere più forte. – Cosa?

– Vo... vorrei... – incespicava Tramonto – vorrei ringraziarti per l’aiuto che mi hai dato.

La ragazza si rabbuiò. – Figurati! Si trattava di una cosa che riguardava pure me.

– E poi vorrei anche dirti...

– Sì? – Nuvola s’illuminò di nuovo, a dispetto del suo nome.

– Di tenere a bada tutti quei draghi. Anche se sono buoni. – Sorrise imbarazzato. – Tu che sai parlare col cuore.

Nuvola accennò un mesto “sì” con la testa e si apprestò ad affiancare il Gran Mago Tramonto nell’incantesimo della pioggia.

Tramonto non ce l’aveva fatta. Sarebbe stato comunque inutile. Meglio lasciarsi da amici e ritrovarla simpatica vecchietta.

Il suo dovere, adesso, era pensare alle sorti di quelle povere genti che, a causa sua, erano vissute in ristrettezze. Tutte le sue energie sarebbero convogliate nell’incantesimo che avrebbe tolto dal cielo le forme oscure e incombenti dei Draghi Neri del Nord; scioglierle in pioggia, trasformando la loro malvagità nella linfa che avrebbe dato di nuovo vita alle piante.

Ora gli abitanti del villaggio non erano più contro di loro. Tutti affollavano le vie in attesa di quell’acqua che avevano atteso ormai da troppo tempo.

E, come previsto, non fu difficile recuperare l’incantesimo della pioggia:

Fulmini, lampi, tuoni e saette!

Da queste nubi la pioggia verrà.

Sagome oscure da me maledette

Siate bandite per l’eternità.

Gli oscuri Draghi del Nord caddero giù dal cielo con fragori violenti, scrosciarono come pioggia trattenuta per cinquant’anni, esplosero con tuoni, fulmini e grida di gioia di un popolo ormai da tempo disabituato alla purificazione della pioggia.

Squarci di cielo si dipinsero sulla volta. Il Sole scoccò i suoi dardi. L’ovatta delle nubi incantate disparve alle prime pozzanghere, ai primi rivoli che i bambini presero a seguire a corsa, allo scuotersi delle frasche che pascevano nel loro nutrimento.

Gli abitanti del villaggio lanciavano in aria i cappelli, quasi a voler toccare per l’ultima volta quelle falangi di nubi che stavano svanendo.

E, dopo il temporale, il sereno apparve nel cielo delle Lande, donando colore a tutto ciò che fino a quel momento era stato grigio.

I prati, le panchine, i tetti delle case, il profilo del paesaggio, le vie popolate di abiti e carretti. Le squame dei draghi, le ali aperte, gli occhi d’ambra, gli artigli protesi, le zanne di madreperla, i corni d’avorio, le lunghe code guizzanti, le fiamme che uscivano dalle fauci spalancate. Tutto divenne verde, blu, rosso e giallo come acceso non era stato mai.

– Tieniti forte, atterriamo!

Nuvola si aggrappò a Tramonto, che strinse il collo di Brace e fece un mezzo giro per costringerlo a rallentare nei pressi del castello.

Il prato si fece sempre più vicino; il vento prese a soffiare più piano fra i capelli, finché l’atterraggio del drago non li fece sobbalzare entrambi. Poi, proseguirono il tragitto a piedi.

– Siamo quasi arrivati – gemé Nuvola, percorrendo i metri di viottolo che li speravano dal castello. Brace ciondolava le enormi anche come un brontosauro e non si spiccicava dalla ragazza.

– Non importava che tu venissi fin quassù.

– Ma io volevo accompagnarti – ribatté Nuvola, provando a ostentare una punta di disperazione.

– Tanto comincio ad avere un po’ di sonno – replicò il Mago, davanti all’ingresso.

La parola “sonno” sconcertò Nuvola, che lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Brace si accucciò accanto a lei e la guardò con occhioni liquidi e gialli.

– Allora, buon riposo! – Tese una mano al Mago, così, come la prima volta che si erano incontrati, e non riuscì a dire altro, mentre lui si richiudeva il portone alle spalle sussurrando un timido “grazie”.

Così, Nuvola sospirò e accarezzò le squame del suo grosso amico.

– Caro Bracino – disse, incamminandosi col bestione per le Lande adesso Fiorite, – l’importante è che siate tutti sani e salvi e che i Draghi del Nord si siano sciolti in pioggia. – Sospirò ancora. – E se il destino vorrà farmi incontrare di nuovo il Gran Mago Tramonto, vorrà dire che lo incontrerò di nuovo.

Ma il drago ciondolava il testone verde, anche se un po’ meno grigio, e non si capiva se lo facesse per annuire alle parole di Nuvola o per assecondare il suo passo pesante. Ciondolò, ciondolò, mentre lei non smise di chiacchierare a voce alta per tutto il tragitto che li riportò al villaggio.

E fu solo a sera, accanto al fuoco alimentato proprio da Brace, che il nonno ricordò: – Siedi qui accanto a me, Aurora.