È un film commovente, Noi, Zagor di Riccardo Iacopino. Un documentario che non è solo il racconto di come nacque il personaggio e di come sostanzialmente nacquero le carriere dei due ideatori, lo scrittore Sergio Bonelli (con lo pseudononimo di Guido Nolitta) e il disegnatore Gallieno Ferri. No, c'è anche e sopratutto il cuore degli zagoriani,  i fedeli ammiratori delle gesta del personaggio che dal 1961 è presente nelle edicole italiane.

Se la prima parte si concentra sulla genesi, sull'incontro tra Ferri e Bonelli, sulle decisioni prese per la caratterizzazione sia grafica che psicologica del personaggio, su come si è allargato il suo universo narrativo, il vero punto di forza è la parte sui fan.

Senza i lettori, qualsiasi sforzo narrativo è vano. Quello che si viene a scoprire  è perché ancora oggi il personaggio abbia un pubblico, che non è solo italiano. Se da un lato sono significative le testimonianze di chi Zagor lo fa oggi (tra i quali ancora in attività, instacabile, lo stesso Ferri), come il curatore Moreno Burattini o alcuni degli altri disegnatori, sono altresì fondamentali i momenti in cui questo pubblico viene mostrato, intervistato. 

Non voglio sminuire le dotte analisi dei filosofi e critici mostrati nel film, tutt'altro, esprimono tutti analisi più che azzeccate sul personaggio, sul media fumetto e sul suo appeal, ma le facce divertite e appassionate dei fan, il ricordo di chi rubava del tempo o faceva la cresta sulla spesa per comprare i fumetti hanno non solo la stessa eloquenza, ma un impatto emotivo maggiore.

Zagor è soprattutto il divertimento di chi lo legge ogni mese, con avventure che spaziano dall'avventuroso alla fantascienza, dal fantasy al western più puro. 

Vedere un autore che mangia una pizza insieme a un fan è una cosa che non riesci a immaginare, ma nel mondo del fumetto non accade così di rado. Non accade nel mondo del cinema o della TV per esempio.

Questo perché non solo è un mondo più vicino ai suoi lettori ma, nel caso specifico del retaggio bonelliano, è fatto di gente seria, che lavora sodo come chiunque, per realizzare un onesto prodotto di intrattenimento ogni mese.

Non manca nel documentario l'omaggio a Sergio Bonelli, uno degli ultimi esponenti di una generazione che potrei definire dei galantuomini. Un omaggio che non è retorico se non in alcuni passaggi (una sequenza sulla sedia vuota un po' enfatica), perché passa attraverso il mostrare come il suo retaggio sia ancora presente, concretamente nel modo di lavorare di chi oggi è impiegato o collabora con la casa editrice che porta il suo nome.

Il montaggio delle interviste e delle testimonianze porta lo spettatore anche dentro il processo produttivo del fumetto, che ancora oggi è per lo più artigianale e disegnato con matite e chine, anche se molti sono convinti che i computer si usino per tutto. 

Di notevole impatto è pertanto è il lavoro di esaltazione dei disegni di Gallieno Ferri, artista della matita e del pennello ma anche della narrazione per immagini. Il fumetto, definito parente povero del cinema, o "cinema in tasca" in questo documentario, si prende una bella rivincita quando le sue vignette vengono proiettate sul grande schermo, affascinando e stupendo gli spettatori pur non essendo in CGI.

Ma non crediate che sia una operazione che miri a rimpiangere i bei tempi andati. In tal senso è emblematico il pensiero di Moreno Burattini che ribadisce nel documentario che fumetto, cinema, videogiochi e altre forme di divertimento non sono mutualmente esclusive.

Il senso di Noi, Zagor è anche in questo concetto. Non una retrospettiva nostalgica, ma il racconto di un fenomeno che è vivo e, ne sono certo, lo sarà ancora a lungo.