Tornando alle regole utili a costruire una buona storia, il creatore di Geralt di Rivia offre il suo punto di vista su vari aspetti tecnici e d’impostazione, per esempio l’originalità dell’idea:

La cosa importante nel fantasy è lo sviluppo dell’idea di base. Non esiste nulla di assolutamente originale: uccisori di mostri ce ne sono tanti, come ci sono tante storie di qualcuno che getta qualcosa in un vulcano. L’importante è il “come” si utilizza un’idea: anche se è già usata da altri non importa, ma bisogna farlo nel modo giusto. Per riuscire in questo, lo scrittore deve avere il talento nel sangue: il potenziale c’è o non c’è. Se non c’è, non esiste insegnamento o pratica che possa sostituirlo, non è un qualcosa che si impara. La “stoffa” dello scrittore deve essere già dentro di noi per venire fuori. 

Di conseguenza viene l’intreccio, la trama. L’unico modo possibile per creare una buona storia è farlo come si deve. Creare un mondo e metterci un unicorno è facile, il problema è creare un buon personaggio principale e buoni personaggi secondari. Chiedere a un autore come riesce a realizzare una buona storia è come chiedere a uno scultore come ha fatto a scolpire una perfetta statua di Venere. C’è una sola risposta: "Prendete il blocco di marmo, martello e scalpello e martellate via tutto ciò che non è Venere". La stessa cosa vale per la scrittura: scrivete tanto e poi tagliate ciò che non è necessario. Se c’è rimasto qualcosa, potete presentarlo all’editore, se non è rimasto niente, sceglietevi un’altra professione. C’è molta necessità di calzolai.

Tutto questo fa pensare alle Lezioni Americane di Calvino, dove si vogliono dare tracce operative su cosa è utile per l’opera narrativa: per esempio la leggerezza, l'essenzialità dello stile, evitare la sovrabbondanza di parole e descrizioni. Ovvero tagliare via “tutto ciò che non è Venere”. 

Calvino aveva intenzione di parlare anche di coerenza narrativa, aspetto legato alla reazione del destinatario (il lettore): il segreto è dunque creare personaggi verosimili, oppure un’ambientazione verosimile?

Entrambe le cose. Nei migliori romanzi troviamo personaggi assolutamente realistici. La differenza fra un buon personaggio e un cattivo personaggio è che il primo, sebbene descritto sulla carta, non è di carta ma reale. Solo in questo modo il lettore può identificarsi in lui e credere in ciò che fa, credere nella realtà fantasy del mondo in cui protagonista e personaggi vivono. E’ necessario poter capire il loro carattere e credere nelle loro azioni. Così come il contesto: se leggiamo di un mostro o un drago, deve essere reale, farci paura, deve esistere, in quel momento. Ad esempio, quando ho finito di leggere Pet Cemetery di Stephen King era notte fonda e io avevo paura a spegnere la luce.

Anche la magia deve essere credibile, permeare tutta la storia ed essere percepita dal lettore come reale in quel contesto. I lettori fantasy sono scafati e riescono a capire quando la magia non è coerente con il resto del libro, cioè se è qualcosa messo lì perché fa comodo all’autore o se è “fact of live”, ovvero coeso ai fatti del libro. In Michael Moorcock, mostri e divinità sono reali, e lo stesso in Tolkien: pensando a Grishnákh, è ovvio che gli orchi non esistono, ma questo non lo rende meno spaventoso e malvagio

L’autore fantasy (ma non solo) impone un percorso preciso alla sua narrazione. In questo contesto si può introdurre il tema della libertà dei personaggi e il destino: i protagonisti di una storia sono condannati a seguire una trama prestabilita oppure in certe occasioni “parlano” all’autore riuscendo a svincolarsi dalla trama e addirittura trasformare la storia? Da qui, la libertà del lettore: quanto può essere lasciata libera la fantasia di chi legge nel completare un personaggio?

I personaggi devono aderire alla storia. Io non credo personalmente nel destino ma, in questo senso, è necessario alla trama perché è ciò che la muove. L’autore di fatto decide il destino dei suoi personaggi: li porta a confrontarsi con fatti, tragici o meno, che lui conosce in anticipo e loro no; ci deve essere una reazione non prevista, anche per il lettore. Comunque può capitare che i personaggi cambino una storia, ma solo se la variazione aderisce comunque alla trama originale. In genere seguono la via che io ho scelto per loro, quella migliore per la trama, che altrimenti rischia di perdere coerenza.  Nella massima parte dei casi la trama deve essere sovrana ed è fondamentale tenere la linea originaria.

A questo proposito possiamo porre l’annosa questione: scaletta o non scaletta? Cioè se sia meglio scrivere d’istinto o definire in anticipo l’inizio, lo svolgimento e il finale della nostra storia.

Iniziare un libro col titolo e andare avanti è qualcosa per me inimmaginabile. Magari ci sono scrittori capaci di farlo ma non io. Per quanto mi riguarda, devo sapere in anticipo cosa succede prima di scrivere. Del resto, anche se racconti una barzelletta devi sapere come va a finire. Non puoi lasciarti trascinare dalla penna, non funzionerebbe mai. 

Tornando ai personaggi, si ha la sensazione che certi autori dimentichino che sono persone: forse è stato scalpellato via troppo e il risultato vede figure eccessivamente stereotipate? Questo sta danneggiando la fantasy? 

Tutto questo si può ricondurre alla differenza fra buona e cattiva fantasy: quella buona è realistica, non fiabesca o utopistica. Lo Hobbit è una fiaba fino al punto in cui il drago viene ucciso: in una fiaba i nani si sarebbero spartiti il tesoro. Invece cominciano a combattere fra loro per impossessarsene, e se non fosse per l’arrivo dell’esercito degli orchi si ucciderebbero a vicenda. In quel momento, la storia cessa di essere una fiaba e diviene fantasy. Il buon fantasy parla di ciò che avviene nella vita vera: se c’è un mucchio d’oro c’è anche un mucchio di gente che cerca di uccidersi per averlo. La stessa cosa avviene nei miei libri

Ma allora vero e verosimile nella Fantasy devono sovrapporsi? Evidentemente sì, visto che il genere contiene due tipi di realtà che si fondono: quella che conosciamo, e sappiamo essere vera, e quella che ci racconta l’autore, facendocela vivere, durante la lettura, come altrettanto credibile. In altre parole, occorre ottenere una realtà fantastica.

Quando Terry Pratchett dice: “perché le cose accadono? Perché devono accadere!” intende dire: “Se qualcosa accade in un libro, è vero perché l’ho creato io”. E si riferisce alla capacità di rendere vero, per il lettore, ciò che non lo è.  Al mio editore venne chiesto se esistevano realmente dei serpenti acquatici di cui parlavo in un mio romanzo, e lui rispose: “certo, l’ha detto Sapkowski”.

Da questo al concetto di sospensione d’incredulità il passo è breve. In proposito, Sapkowski ha una teoria molto precisa:

Riguardo a questo l’autore è impotente, in quanto dipende dalle caratteristiche del lettore: ci sono persone che non amano il fantasy e non ne accettano le trame, semplicemente perché non gli piacciono. Per loro, gli unicorni a New York sono assurdi. Le considerano o fiabe per bambini o parti di menti un po’ malate, contrarie al senso comune e totalmente escapistiche.  Questo tipo di lettore non subirà mai il processo di sospensione dell’incredulità. Mi è stato chiesto se ho l’abitudine di disegnare pentacoli col sangue in mezzo a candele accese, e quando io dico di no, la gente resta delusi perché non riesce a separare la realtà della vita dalla realtà della storia. Pensano che io sia pazzo a scrivere di draghi, elfi e così via.

Correlato ma non sovrapponibile alla sospensione d’incredulità è il sense of wonder, cioè quella particolare sensazione di meraviglia che pervade il lettore davanti a situazioni e scenari particolarmente inconsueti. Ma nella fantasy è questo che deve prevalere, o piuttosto, come sembrano indicare i romanzi di molti autori moderni compreso Sapkowski, l’ironia e il cinismo? 

Scrivere in modo cinico ma dare anche spazio al sense of wonder è una questione di stile. La comunità dei buoni autori fantasy è composta di circa tremila persone e la maggior parte sono anglosassoni, ma ogni stile è unico: questo è il motivo per cui sono bravi autori. C’è chi privilegia il senso della meraviglia, chi il cinismo e il sarcasmo. Ognuno a suo modo. Io non posso imitare lo stile di Neil Gaiman o Joe Abercrombie o Stephen King. Non voglio, non ne sento il bisogno e non sarebbe una cosa riuscita.  Come loro non potrebbero mai imitare il mio.

A questo punto il focus della discussione passa a suggerimenti e dettagli più tecnici:

Cosa rende un dialogo buono e funzionale e come la forma della narrazione in generale rende verosimile la storia?

Il dialogo è importante per vari motivi, tra cui quello di rendere la pagina più “leggera”, al contrario di una scrittura fitta fitta. Ma ce ne sono altri: a volte il lettore si annoia con tante spiegazioni, non vuole essere istruito costantemente dall’autore. Col dialogo è possibile mostrare e caratterizzare il personaggio attraverso il suo modo di parlare e far avanzare la storia in modo veloce e brillante, con poche altre informazioni. Ognuno dei personaggi deve parlare in modo tale da essere riconoscibile, senza tanti nomi di riferimento, cosa che rischia di appesantire e rallentare la lettura. Naturalmente occorre usare il giusto stile e le giuste parole ma questa, in generale, è una tecnica precisa utilizzata per evitare che il lettore perda connessione con quanto sta accadendo: uno stile frenetico e concitato e poche parole sono più efficaci di una lunga descrizione. Inoltre, aiuta il lettore a percepire frenetica la situazione. Al contrario, un fraseggio lento, rilassato fornisce al lettore che il momento è calmo, non c’è tensione, urgenza. Si tratta di pura tecnica, come anche la scelta del tempo verbale.

Perché far tradurre dalla lingua originale, il polacco, e non utilizzare traduzioni già esistenti?

In italiano si dice traduttore-traditore. E’ difficile essere tradotti bene in una lingua d’arrivo, alcuni miei traduttori hanno fatto un buon lavoro, altri no; lo so perché conosco molte lingue. C’è un film americano, Lost in Translation, che costituisce un buon esempio: nella lingua di arrivo si perde sempre qualcosa. Più traduzioni, più perdite.

Infine, un consiglio ai giovani autori:

Se scrivete, non abbiate paura di mostrare il vostro lavoro agli altri e non vergognatevene. Però se avete la sensazione che sia fatto male, sicuramente è…fatto male. 

A conclusione di questo gratificante educational, è da riportare un episodio che parla da solo:

Andrzej Sapkowski, forse a causa di precedenti esperienze, aveva sulla scrivania (guardate la foto) un foglio con una scritta nascosta che ha svelato alla fine.

La frase era: “Questa è una domanda stupida”. 

In chiusura, il pluripremiato autore del Witcher ha dichiarato: "Sono molto contento di non aver avuto motivo di usarla".

Anche noi ne siamo molto contenti.