Prologo

Avrei vissuto in pace. ma i miei nemici mi hanno trascinato in guerra.

Guardo milleduecento dei loro figli e figlie più forti. Tutti ad ascoltare un oro spietato che parla tra enormi pilastri di marmo. Ad ascoltare la bestia che ha appiccato il fuoco che mi divora il cuore.

«Tutti gli uomini non sono stati creati uguali» dichiara. Alto, imperioso, un’aquila d’uomo. «i deboli vi hanno ingannato. Costoro vi dicono che i non violenti dovrebbero ereditare la Terra. Che il forte dovrebbe accudire il delicato. Questa è la nobile menzogna della cosa chiamata Demokrazia. il cancro che ha avvelenato l’umanità.»

I suoi occhi trafiggono gli studenti lì adunati. «Voi e io siamo oro. siamo la fine della linea evolutiva. svettiamo sul cumulo di carne dell’umanità, alla guida dei Colori inferiori. Voi avete ereditato questo retaggio» fa una pausa, studiando i volti del gruppo, «ma ciò non è privo di costi.»

«Il potere deve essere reclamato. il benessere conquistato. il comando, il dominio, l’impero vanno comprati col sangue. Voi bambini senza cicatrici non meritate niente. Non conoscete il dolore. Non sapete cosa sacrificarono i vostri avi per porvi su queste vette. ma, presto, lo saprete. Presto vi insegneremo perché l’oro domina l’umanità. E prometto che, tra di voi, solo quelli adatti al potere sopravviveranno.»

Ma io non sono un oro. io sono un Rosso.

Costui pensa che gli uomini come me siano deboli. mi considera idiota, fiacco, subumano. Non sono cresciuto in una reggia. non ho cavalcato destrieri per i prati né cenato con lingue di colibrì. Sono stato forgiato nelle viscere di questo mondo tanto duro. Affilato dall’odio. Reso forte dall’amore.

Si sbaglia.

Nessuno di loro sopravviverà.