Il genio indiscusso, lo stile unico e lo spirito torturato hanno fatto di Vincent Van Gogh una figura mitologica che ancora oggi suscita fascinazione e curiosità. Tutt’ora si cerca di capire da dove derivassero le sue peculiari scelte pittoriche, quali siano state le condizioni per cui è stato esploso il colpo che ne ha reclamato la vita, chi fossero i soggetti da lui ritratti.

Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, pur inserendosi in un filone cinematografico già nutrito, riesce ad aggiungere contenuto a un tema che non smetteremo mai di approfondire e, nel farlo, propone un prodotto degno di encomio.

Vecchio che soffre – Trama

Vincent Van Gogh (Willem Dafoe) vive in un mondo pregno di colore ma afflitto da una profonda solitudine. Pur manifestando un profondo desiderio di appartenenza non può fare a meno di sentirsi diverso dagli altri, isolato. A sconvolgere la sua prospettiva è la seduzione dell’amico Paul Gauguin (Oscar Isaac), il quale lo spinge in un vortice di stimoli creativi che finiranno a condurlo in Provenza, alla ricerca della luce perfetta per i suoi quadri.

Nel sud della Francia Van Gogh vive l’ultimo periodo della sua vita, quello più produttivo e turbolento. Ormai lontano dal fratello Theo (Rupert Friend) e abbandonato da Gauguin, il pittore infrange la propria psiche e mutila il suo corpo. Ricoverato, si rifugia nell’atto creativo – in 80 giorni produsse 75 tele – generando molti dei suoi lavori più riconoscibili e amati, seppur intrisi di palpabile dolore. Stravolta dalla pressione emotiva, la vita di Van Gogh viene infine reclamata da un duo di ragazzini che gli spara, quasi per gioco, in un campo di grano. È il 1890 e Vincent, trentasettenne, esala l’ultimo respiro.

Dove rinasce la simpatia – Tecnica

L’intenzione del regista Julian Schnabel (Basquiat, Lo scafandro e la farfalla) non era evidentemente quella di creare un documentario, quanto quella di rappresentare uno spaccato della vita di un grande artista. Come fu per classici del cinema quali Amadeus e Lisztomania, anche Sulla soglia dell’eternità rinuncia a una narrazione storicamente accurata pur di trasmettere stimoli sensoriali vividi e memorabili. In tutta probabilità il vero Van Gogh si è suicidato e sicuramente non ha espresso a voce alcune dichiarazioni che gli sono state qui attribuite, ma tutto scivola in secondo piano poiché la pellicola si fa influenzare dalle testimonianze scritte senza mai esserne asservita. 

Dafoe ha il doppio degli anni del personaggio che interpreta, ma la peculiarità dei suoi tratti somatici – contemporaneamente ipnotici e orripilanti – e il suo indiscutibile talento lo rendono l’attore ideale per quello che di fatto è un lungometraggio introspettivo. Molta della potenza insita nella pellicola viene accentuata proprio dalla padronanza che Dafoe ha della propria espressività, dalle più subdole e minuziose variazioni del suo sguardo. La proprietà espressiva e la grande versatilità dell’attore fanno sì che un intero mondo di sensazioni si incanali direttamente verso lo spettatore, creando un legame empatico dal quale non si può in alcun modo sottrarre.

Non c'è il blu senza il giallo – I colori

Rinunciando al fardello dell’accuratezza storica, Schnabel ha potuto tessere un’interessante interpretazione di come Van Gogh potesse percepire il mondo. Sfruttando il pittore olandese come mezzo, egli mira però a un traguardo più alto: immergere il pubblico in una atipica visione del reale, offrendo prospettive sconvolte e riscoperte dagli occhi di chi è benedetto dall’estro creativo. 

Concretamente quest’ambizione si manifesta nella pellicola sotto forma di colore e tono. Ogni panorama cambia identità a seconda di come viene colpito dalla luce, ogni stanza si tramuta in base alla dominante cromatica con cui viene registrata, ogni fotogramma diviene a suo modo un’opera d’arte in cui il creativo non è più Van Gogh, ma Schnabel stesso. 

Notte stellata – Conclusione

Dopo il clamore mediatico suscitato l’anno scorso da Loving Vincent, sarebbe sembrato quasi ingenuo proporre un lungometraggio a tema Van Gogh a così breve distanza. La produzione di Sulla soglia dell’eternità è stata pertanto una scommessa, ma che ha maturato i suoi frutti. L’insieme di talento, amore e arguzia riversati nella pellicola fanno sì che il prodotto finale possa spiccare sul suo stimato predecessore ed entrare a pieno titolo nella storia del cinema. 

L’unica pecca è che sia il potente messaggio, sia il protagonista incorrono in una sintesi prepotente ed eccessiva che sfocia occasionalmente in secca banalizzazione. A conti fatti si tratta di una scelta obbligata; il film ha fondamentalmente un carattere divulgativo pensato per il grande pubblico e si deve imporre un registro linguistico facilmente comprensibile, ma non ci si può che chiedere cosa ne sarebbe venuto fuori se sulla poltrona del regista si fosse seduto un personaggio sopra le righe quali Alejandro Jodorowsky o Charlie Kaufman.