Siamo arrivati al dunque. Dopo 8 stagioni, 9 anni e 72 episodi, è arrivato il finale di Il trono di spade, serie che ormai anche i sassi sanno essere ispirata alle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin.

L'orrore della guerra

Dopo che Daenerys (Emilia Clarke) ha distrutto Approdo del Re, massacrando anche la popolazione, alcuni personaggi assistono come inebetiti all’ascesa della discendente di casa Targeryen al trono.

Peter Dinklage, Jon Harington e Liam Cunningham
Peter Dinklage, Jon Harington e Liam Cunningham

Jon Snow (Kit Harington) e Tyrion Lannister (Peter Dinklage) in particolare sembrano volere dire la loro. Tyrion, dopo aver trovato i cadaveri dei fratelli, si presenta al cospetto di Deanerys più quasi per farsi “punire” per la sua dabbenaggine che altro. Butta la spilla del Primo Cavaliere schifato da un discorso in cui Dany proclama di volere “liberare” tutto il resto dei sette Regni da una opprimente dittatura, per sostituirla con un suo governo, ovvero con un'altra dittatura, che si presume più illuminata. Un discorso da demagoghi. Tyrion viene arrestato.

Emilia Clarke
Emilia Clarke

La fine di una maledizione

Jon Snow, che ha assistito anche alle ultime rappresaglie dell’esercito degli Immacolati su prigionieri ormai inermi, va a trovare in prigione Tyrion, che lo esorta a reclamare il Trono di Spade, come legittimo erede di Casa Targaryen, ma sembra combattuto sul da farsi.

Lento e inesorabile, arriverà il momento di decidere. Jon cerca ancora di convincere l’amata Dany a desistere da una insensata guerra di conquista. Ma la donna ormai non lo ascolta più. È convinta sempre più di portare la pace mediante la guerra a chiunque non la pensi come lei, a chiunque non sia disposto ad accettare la sua guida.

Emilia Clarke e Kit Harington
Emilia Clarke e Kit Harington

Jon a questo punto, pur continuando ad affermare che Dany è “la sua regina”, la uccide, affrontando il destino di chi non ha più speranze.

L'uomo non si sottrae pertanto alla punizione che sembra volergli infliggere Drogon che, incredulo, scuote il cadavere della madre Daenerys.

Ma la rabbia di Drogon, creatura che ha ubbidito a tutti gli ordini di Dany, a tutti i “Dracarys” che hanno punito i suoi avversari, non si riversa su Jon Snow.

Kit Harington
Kit Harington

Il suo dolore punta al Trono di Spade, il maledetto trono per cui, nei secoli, si è versato tanto sangue. Il trono costruito con tutte le spade dei nemici di Aegon il Conquistatore, primo re dei Sette Regni. Un simbolo di dolore e morte.

Lo fonde, con rabbia e dolore. E forse scioglie la maledizione che quel trono porta in sé.

Ed è questo lo scarto, la differenza che passa tra il fantasy inteso come stereotipo, come banale storia di battaglie, spade e cavalli, e il fantasy come genere di potenza metaforica.

Tutta l’insensata mania della conquista e dell’impero viene sciolta da un essere che si rivela più saggio di tutti, che si porta il corpo dell’amata madre con se, forse destinando per se l’esilio.

Il trono di spade in fiamme
Il trono di spade in fiamme

Ha distrutto più che un simbolo, ha distrutto la ragione stessa di questa storia. Ha confermato che non sarebbe stato possibile costruire qualcosa di buono sedendo su quel trono, così come non sarebbe mai stato possibile fare del bene usando l’unico anello ne Il signore degli anelli.

Un nuovo Re per i sette regni?

Più interessata alle conseguenze delle azioni che ad altre azioni in sé, la storia salta a un momento successivo.

Jacob Anderson e Peter Dinklage
Jacob Anderson e Peter Dinklage

Sia Tyrion che Jon Snow sono prigionieri degli Immacolati. Verme Grigio, probabilmente in veste di reggente, non li ha giustiziati subito, forse per realismo politico.

Tyrion viene convocato davanti a un consiglio formata dai rappresentanti sopravvissuti dei sette Regni. Sembrano tutti stanchi di combattere.

Riconosciamo tra gli altri Arya, Sansa e Bran Stark, Samwell Tarly, Gendry Baratheon, Brienne di Tarth. Nessuno vuole fare il Re, nessuno sembra riuscire a decidersi, tranne un povero idiota zittito subito. Non è più tempo di nobili con privilegi, ma di persone capaci. Ma il consiglio deve esprimere un Re e, nonostante gli errori compiuti nel recente passato, tutti sembrano ancora confidare in Tyrion.

Masie Williams, Isaac Hempstead-Wright e Sophie Turner
Masie Williams, Isaac Hempstead-Wright e Sophie Turner

Samwell Tarly propone un embrionale suffragio universale. Gli ridono in faccia. Ma è un seme che viene piantato. I tempi non sono maturi, ma è chiaro che questa idea, alla lunga, vincerà. È l’inizio della fine per l’epoca dei nobili e delle disuguglianze.

Ci vorranno forse centinaia di anni, ma la strada è appena cominciata.

Gli ultimi saranno i primi

E il segnale che nulla sarà mai come prima è dato dalla proposta di Tyrion. L’elezione di Bran come Re, nell’ottica di una monarchia concepita come servizio e non come privilegio.

Bran accetta, sapeva quale fosse il suo destino e sceglie Tyrion come Primo Cavaliere. Anche in questo caso non è affatto un premio. Perché servendo la corona espierà tutti gli errori commessi, pur se in buona fede.

L’altro segnale è la rivendicazione di Sansa di un regno del Nord. Troppo alto è stato il tributo di sangue del Nord perché gli Stark possano accettare di essere di nuovo sudditi. I sette regni non esistono più. Da ora in poi saranno sei.

Isaac Hempstead-Wright
Isaac Hempstead-Wright

Anche questo è l’inizio della fine di un epoca. Alla lunga, ne sono certo, nella storia di Westeros, in una sua ipotetica età moderna, ci saranno degli stati, o una confederazione.

Le dinastie non hanno più senso

E Jon Snow? Morto sarebbe un martire. Vivo, ma soprattutto libero, non sarebbe benvoluto da chi è stato fedele a Daenerys. Verrà esiliato, riprenderà il suo ruolo di Guardiano della Notte, a guardia di una barriera che sembra inutile adesso. Ma avrà un su scopo, ricongiungendosi ai Bruti che forse hanno preso la consapevolezza di essere un popolo.

Kit Harington
Kit Harington

È finita l’epoca in cui è importante chi è figlio di chi. Jon Snow è l’ultimo erede di una dinastia che ha insanguinato un continente. Ora ha uno scopo diverso. Anche lui dovrà in qualche modo espiare delle “colpe”.

Addii e partenze

Ma prima di vedere i Bruti popolare l’estremo Nord vedremo: Arya conclude il suo arco decidendo di esplorare quello che c’è a Ovest di Westeros, un territorio inesplorato che può celare pericoli o opportunità; Sansa assumere il suo ruolo di Regina del Nord.

Che si stia per tirare una riga è evidente dal primo consiglio presieduto dal Primo Cavaliere. C’è molto da discutere, ministri da nominare, fondi da trovare.

Gwendoline Christie, Jerome Flynn, Peter Dinklage, iam Cunningham e John Bradley
Gwendoline Christie, Jerome Flynn, Peter Dinklage, iam Cunningham e John Bradley

A governare saranno un diversamente abile, un ragazzo che sembrava spacciato nel vecchio mondo, e un nano, inviso e deriso per tutta la vita, un “folletto” che alla fine ritrova la sua saggezza, dopo essersi perduto.

Non grandi re, non grandi eroi ai quali è stato profetizzato un “destino di grandezza”.

Un pensiero politico quasi eversivo.

Gwendoline Christie
Gwendoline Christie

A un libro, Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, sarà affidato il racconto sia pur parziale (non citano Tyrion!) delle gesta che hanno chiuso un’epoca. Un’epoca che si chiuderà con la pietà verso i vinti visto che la stessa Brienne, nel chiosare la vita di Jaime Lannister scriverà pietosamente che è “morto proteggendo la sua regina”, riscattando il marchio d’infamia di “uccisore di Re”.

Non saranno tutte rose e fiori, ma di certo l’ombra del trono di spade è stata dissolta.

Ci sono pericoli nuovi all’orizzonte, ma questa è un’altra storia.

Masie Williams
Masie Williams

Conclusioni

Sul fronte prettamente visivo, siamo davanti un episodio in cui si mescolano lunghi silenzi, spezzati da poche parole, a tanti discorsi, tante interazioni tra personaggi. I campi e i controcampi puntellano i confronti, i campi lunghi e le carrellate ci mettono davanti alle conseguenze della guerra, ai suoi orrori.

Non sappiamo quanto di Martin ci sia stato nel percorso che, nelle ultime stagioni in particolare, forse è stato molto affrettato. E non sappiamo ancora se il finale dei libri sarà quello che abbiamo visto in questo episodio.

Pur tuttavia mi sbilancio dicendo che questo finale sembra avere, nel suo esito, la firma della visione politica e sociale di Martin.

Martin nelle Cronache ha raccontato di guerre e di massacri, di passioni violente, ma alla fine ha costruito un manifesto contro l’insensatezza della guerra, contro la vanagloria degli uomini.

Sophie Turner
Sophie Turner

Ha dimostrato ancora una volta che il fantasy è adatto a raccontare non solo “il viaggio dell’eroe”, ma anche storie di personaggi che eroi non sono, ma che contribuiscono a gettare i semi di un’evoluzione da un’epoca all’altra. Non storie che rimpiangono nostalgicamente una presunta età dell’oro ma, al contrario, di epoche in cui gli uomini muovono i primi passi verso diversi livelli di consapevolezza.

Alla fine un’opera che sembrava pessimista e cupa, si rivela un manifesto dell’ottimismo, della fiducia che, dopo lutti e sofferenze, la condizione umana si possa migliorare nel tempo.

Si comincia qui: da un re diversamente abile, consigliato da un nano, da una regina a Nord in un mondo maschilista. Proiettati verso un lontano futuro.

Una storia della quale i protagonisti delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco non vedranno la fine, ma che hanno contribuito a cominciare.