Un serial killer terrorizza Londra. Come molti altri, ama lasciare un segno distintivo, qualcosa che faccia parlare di lui. In questo caso sono dei foglietti con dei versi del poeta inglese William Blake.

La polizia si rivolge pertanto a Damon Reade, uno dei massimi esperti di Blake, un misantropo che vive ritirato nel Lake District, perché possa aiutarli nel comprendere chi possa essere l’omicida.

In particolare se, tra i tanti suoi corrispondenti, abbia individuato qualche personaggio squilibrato e fin troppo ossessionato.

Inizialmente Reade non sa bene come aiutare la polizia. Non sa neanche dell’omicida, tanto vive ritirato nel suo mondo di campagna e libri. È più interessato, e imbarazzato, dagli sviluppi della sua storia d’amore con una ragazza molto più giovane di lui, che gli provoca turbamenti erotici che la sua scarsa confidenza con le emozioni non riesce a gestire.

Poi, spinto da un presagio quasi soprannaturale, Reade decide di intraprendere un viaggio a Londra, presentandosi da un suo corrispondente con una vaga intuizione, un sospetto che lo indirizza verso un apparente insospettabile di nome Gaylord Sundheim.

Inizia così un’esperienza sul filo del rasoio che lo porta dietro le quinte della scintillante Swinging London. Un mondo perverso, inquietante, lercio, nel quale il rischio non è solo quello di perdere la vita, ma prima di tutto l’anima.

Damon Reade avrà diversi incontri nel suo viaggio, alcuni positivi, altri inquietanti e rischiosi.

Colin Wilson è uno scrittore senza fronzoli, lancia parecchie esche ai lettori, ma non tutto è spiegato e dettagliato. Da un lato sembra che voglia lasciare ai lettori il compito di unire i puntini, o semplicemente di stabilire la natura delle esperienze, dei personaggi e degli eventi. Come narratore è assolutamente neutro nei confronti di crimine e degrado umano, più centrato sul suo protagonista e sulla sua visione e lettura del mondo.

Appare netta in Wilson, la distanza tra narratore, mai invasivo, e personaggi.

Colin Wilson è un autore prolifico che su queste pagine dovrebbe essere noto per alcune sue incursioni nel fantastico: I vampiri dello spazio, Specie immortale e I parassiti della mente (in anni recenti proposti in Urania Collezione). La gabbia di vetro ha molto in comune con questi romanzi, per il gusto di stare sempre su linee ambigue e mai chiare, e per l’attenzione verso le reazioni emotive, e i turbamenti provocati nei personaggi dagli eventi. 

Damon Reade è poi senz’altro, per costruzione, degno di apparire nella galleria del saggio L’Outsider, nel quale Wilson compie una disamina sulla figura del disadattato nelle letteratura (edito in Italia da Edizioni di Atlantide).

La gabbia di vetro è un romanzo pregevole, anche se non perfetto. Non tutti i temi che lancia appaiono sviluppati e la risoluzione finale della componente thriller appare frettolosa.

La letteratura non è solo struttura, ma anche suggestione, emozione, pensieri messi in movimento. Per questo La gabbia di vetro merita la lettura. Perché si tratta di un ottimo esempio di come i confini tra i generi siano una mera convenzione quando un autore ha i mezzi per riuscire a  scardinare le regole, non prima di averle studiate, metabolizzate, fatte proprie.