Forse perché ormai storicizzati, gli anni Novanta della politica italiana sono stati riscoperti grazie alla fortunata serie di 1992-94. Le medesime tematiche vengono ora trattate dal regista Gianni Amelio nel suo Hammamet, pellicola dalle tinte manzoniane che offre uno spaccato umano di un personaggio storicamente e giuridicamente molto discutibile.

Trama – Socialisti

Il “Presidente” (Pierfrancesco Favino) è un vecchio politico malato e sconfitto. All’apice della sua carriera reggeva le redini del PSI, ma un’indagine poliziesca lo ha stroncato riconoscendolo colpevole di atteggiamento fraudolento e collusorio. Sentendosi tradito dai suoi compagni nonché per evitare le conseguenze giuridiche delle sue azioni, il Presidente fugge verso la città tunisina di Hammamet.

Esule in un paese straniero, colpevole in contumacia, vive il suo declino in una villa vegliata da guardie armate, assistito solamente dalla compagna (Silvia Cohen) e dalla figlia (Livia Rossi). Visitato da ospiti graditi e detrattori, il Presidente si espone gradualmente, rivelandosi come un dittatore spodestato lacerato tra superbia e vittimismo, ma anche come un uomo le cui colpe sono state ingigantite con l’intenzione di farne un capro espiatorio.

Tecnica – Tangentopoli

È evidente che il copione redatto da Gianni Amelio (Così ridevano, Il ladro di bambini) e Alberto Taraglio (Così ridevano, La tenerezza) faccia riferimento alla persona di Bettino Craxi, ex-segretario socialista deceduto in latitanza proprio ad Hammamet, ma la narrazione fa di tutto per evitare la dimensione documentaristica. Rinunciando ai nomi e limitando i riferimenti storici, il film predilige un’analisi profonda dell’uomo politico, sfociando però in un cul-de-sac romanzesco che piace poco ai discendenti del protagonista e che rende la trama inaccessibile a coloro che non conoscono le vicende di Tangentopoli.

Fotografia, regia, musiche e trucco sono inattaccabili. Giostrati talentuosamente e con grande effetto, forgiano una pellicola di notevole pregio tecnico le cui qualità sono destinate a rimanere nell’ombra di una sceneggiatura che appagherà poche persone. I sostenitori di Craxi si lamenteranno di come i lati oscuri del fascicolo Mani Pulite siano stati banalizzati, i detrattori avranno invece da ridire di come la figura del politico sia stata velata col sudario del martire.

Attori – Magistratura

Pierfrancesco Favino (ACAB, Suburra) si riconferma uno degli attori più interessanti e versatili del panorama italiano. Le sue capacità si dimostrano essenziali nel regalare profondità e spessore a un personaggio dal carattere difficile che altrimenti susciterebbe ben poca simpatia. Il suo “Presidente” è odioso, ma anche patetico quanto basta per evocare pietà e, infine, comprensione. L’unico altro ruolo che vanta un minimo di rilievo è quello di un giovane, Fausto, che da voce a tutti i dubbi legati all’atteggiamento di Craxi. Interpretato da Luca Filippi (In fondo al bosco, Classe Z), il ruolo risulta artificioso e meccanico sia per natura narrativa che per inesperienza attoriale, flagellando significativamente l’immersione cinematografica.

Conclusioni – Mani Pulite

Hammamet è caratterizzato da molti pregi tecnici, ma non può che sollevare dubbi di forma e contenuto. Precedenti quali Il divo o Il caimano dimostrano che sia possibile offrire letture politiche potenzialmente controverse pur preservando delle solide basi cinematografiche ed espositive. Gianni Amelio è finito ad adottare una posizione precaria, a cavallo tra la ricostruzione storica e la licenza poetica. Si muove sfumando i confini, ma rinuncia anche ad ancorarsi a fatti e nomi e rinnega la possibilità di ripercorrere didascalicamente le vicende. La dimensione umana di Bettino Craxi era – ed è ancora oggi – inseparabile da quella politica, un'insidia che Hammamet gestisce con frustrante ambiguità, rinunciando a prendere una posizione decisa in favore di suggestioni generiche e facilmente fraintendibili. Ben fatto, ma vulnerabile contenutisticamente.