Esce in questi giorni L’Ultima Risata, Dylan Dog n° 406, sesto e ultimo capitolo del miniciclo intitolato 666.

Abbiamo preferito attendere la fine, prima di parlarne, perché fin dall’inizio i 6 numeri successivi allo spartiacque del n° 400 erano stati presentati come qualcosa di unico e non come singole storie a sé stanti. Una sorta di storia nella storia che rinarrasse le origini del personaggio creato da Tiziano Sclavi, un reboot in piena regola che si poneva l’obiettivo di aggiornare Dylan Dog.

666 – Le premesse

Con il n° 400, E Ora, l’Apocalisse!, Dylan Dog ha ucciso il suo creatore, quel Tiziano Sclavi divenuto metaforicamente ingombrante, enorme, gigantesco. Al punto da mettere in ombra chiunque sia arrivato dopo di lui, di schiacciare e (sempre metaforicamente) uccidere qualsiasi idea che andasse fuori dal seminato. O, meglio, più che la sua presenza, il ricordo della sua presenza. Un ricordo distorto, che aveva condotto anche a una distorsione dello stesso Dylan Dog. Un personaggio nato per essere al passo con i tempi, anticonformista e fuori dagli schemi, rinchiuso in una gabbia dorata che l’aveva fatto diventare l’ombra di sé stesso. Grande amante dei classici, ma sempre aggiornato sull’ultimo libro o film horror di successo, così come sugli album rock-metal, Dylan Dog era finito per rimanere bloccato agli anni ’80, massimo primi ’90. Certe sue caratteristiche erano state via via limate, smussate, stereotipate fino al limite della macchietta, rendendolo sicuramente più semplice e facile da scrivere, ma, per questo, anche non più capace di incidere, di ferire e far riflettere.

Dylan Dog 400: E ora, l'Apocalisse!

Dylan Dog 400: E ora, l'Apocalisse!

Articolo di Alex Calvi Giovedì, 7 novembre 2019

La recensione del numero 400 di Dylan Dog uscito in anteprima a Lucca Comics & Games 2019.

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Da queste riflessioni, come confermato in molteplici interviste, nasce l’idea, in primis a Roberto Recchioni (attuale curatore della serie), ma avallata dallo stesso Tiziano Sclavi e dal resto della casa editrice, di un vero e proprio scossone che riportasse Dylan Dog a ciò che era all’inizio. Uno scossone in grado di rilanciarlo, di renderlo nuovamente capace di graffiare come quando divenne un vero e proprio fenomeno di costume.

Come fare, quindi?

Il periodo di curatela di Recchioni aveva già tentato di introdurre elementi di novità e rottura col passato, dal pensionamento di Bloch all’introduzione di nuovi personaggi come Ranya e Carpenter, da un ruolo più importante della città e della stratificata società multirazziale londinese all’uso della tecnologia. Cambiamenti che, però, devono essere sembrati non ancora sufficienti (o semplicemente troppo lenti) per portare rapidamente Dylan Dog nel XXI sec., da qui l’idea di un vero e proprio reboot.

L’escamotage utilizzato era implicitamente già presente nella serie fin dal suo inizio: Dylan Dog esiste in un multiverso, un numero pressoché infinito di universi, con caratteristiche a volte simili, a volte diversissime tra loro. Come spiegare tutti quei numeri che terminavano con situazioni in sospeso o impossibili da risolvere, da cui Dylan non avrebbe mai potuto uscire (salvo tornare, il mese successivo, alla normalità, come se non fosse successo niente), se non come visioni da altre realtà?

Ecco, quindi, che il miniciclo 666 ci mostra le origini di un altro Dylan Dog, diverso eppure uguale a quello che conosciamo. Contrariamente ai supereroi americani, Dylan Dog non ha un evento specifico, un fattore scatenante che lo ha reso ciò che è. Non ha assistito alla morte dei suoi genitori come Bruce Wayne, non è stato il responsabile indiretto della morte di suo zio Ben come Peter Parker e non ha ricevuto strani nuovi poteri in seguito a un qualche tipo di incidente. Quello di Dylan Dog è stato piuttosto un percorso, che lo ha portato, sbagliando e imparando, a diventare quello che tutti conosciamo. E, in effetti, rileggendo oggi i primi numeri usciti nel 1986/87, si notano anche varie discrepanze da un albo all’altro su quale fosse l’effettivo background del nostro Indagatore dell’Incubo. L’impressione è quasi che non si avessero le idee chiare fin dall’inizio e, in alcuni casi, si fosse andati un po’ a tentoni, inventando di volta in volta (situazione che, in realtà, sembra essersi protratta per diversi anni, se è vero che ancora nel n° 121, Finché Morte non vi Separi, in occasione del decimo anniversario del personaggio, ancora si riscrivevano/aggiustavano/inventavano nuovi particolari del suo passato che contraddicevano cose dette in precedenza).

Recchioni, nel suo reboot, ha quindi scelto di ripercorrere, più o meno, le storie dei primi albi di Dylan Dog in una sorta di arco di trasformazione del personaggio. Lo ha fatto apportando modifiche, rileggendo certe vicende con una diversa sensibilità e cercando di creare una nuova e maggiore coerenza a tutto il background.

Vanno visti quindi in quest’ottica i cambiamenti, apparenti, che si notano fin dalle copertine: un Dylan Dog barbuto, accompagnato dalla spalla Gnaghi e non dal fedele Groucho, alcoolista, con un atteggiamento a tratti strafottente, spigoloso, decisamente lontano da quel suo preoccuparsi sempre per tutti a cui eravamo abituati. Cambiamenti che, se possono aver fatto storcere il naso a qualcuno, hanno chiaramente un senso: quello che leggiamo, in particolare nei primi albi del miniciclo, non è il Dylan Dog che conosciamo, ma non perché appartenga a un altro universo e, quindi, abbia caratteristiche diverse, più semplicemente perché non è ancora il nostro Dylan. Il Peter Parker prima di Spider-Man, il Bruce Wayne prima di Batman.

Per farlo, per raccontare questo Dylan Dog prima di Dylan Dog, Recchioni fa la cosa apparentemente più semplice, guarda a Sclavi e al suo prototipo di Dylan, cioè il guardiano del cimitero di Buffalora: Francesco Dellamorte. E’ proprio dal romanzo di Tiziano Sclavi, infatti, che proviene il personaggio di Gnaghi e tutto il suo background (compresa la sua unica storia d’amore), così come buona parte del resto di questo nuovo passato di Dylan, in una sorta di fusione/passaggio da un personaggio all’altro.

666 – Il ciclo

L’Alba Nera 
L’Alba Nera 

Le vicende del n° 401, L’Alba Nera, partono all’incirca come nello storico n° 1, L’Alba dei Morti Viventi: il marito di Sybil Brown si risveglia dalla morte e la aggredisce, lei per difendersi lo uccide nuovamente. Da lì, una lunga sequenza di fatti che ripercorre quasi in maniera identica le vicende originali, seppur diluendole su due albi e concedendosi un paio di flash-back per mostrarci come Dylan e Gnaghi si son conosciuti (flashback disegnati da Francesco Dossena), ci conduce fino allo showdown con Xabaras. Qui le vicende prendono una piega differente, anche se l’esito è sempre quello. C’è tempo, però, per riallacciarsi alla mitologia di Dylan tracciata da Sclavi nel n° 100, La Storia di Dylan Dog, e per lasciare qualche briciola sul concetto di multiverso dylandoghiano, a cui accennavamo all’inizio, nonché per iniziare a introdurre, seppur molto a spot, il personaggio di Nessuno (vedi n° 43, Storia di Nessuno). I disegni sono di un Corrado Roi assolutamente stratosferico, autore di tavole di tale atmosfera e impatto da lasciare senza parole; capaci di rivaleggiare anche con quelle, ormai iconiche, del primo numero di Angelo Stano.

Dylan Dog 402
Dylan Dog 402

Le ultime tavole del n° 402, Tramonto Rosso, si ricollegano direttamente al successivo n° 403, La Lama, la Luna e l’Orco, opera di Nicola Mari, in un gioco di rimandi che rimarrà una costante per tutto il miniciclo. Se i primi due numeri si concentravano sul riproporre il primo albo della serie, questo terzo fa una summa e un sunto del n° 2, Jack lo Squartatore, e del n° 3, Le Notti della Luna Piena, quest’ultimo usato anche per rimarcare l’importanza del multiverso come un elemento destinato, forse, a diventare ricorrente, affiancandogli anche una breve storia nuova e aggiungendo, infine, i primi tasselli della sottotrama orizzontale del Killer delle Barzellette che ci condurrà alla fine del ciclo. Tra i sei numeri è sicuramente quello meno forte, con la personalità meno spiccata, e più interlocutorio per la quantità di carne messa sul fuoco e di cose lasciate in sospeso.

Tavola da Dylan Dog 404 - Tavola di Sergio Gerasi
Tavola da Dylan Dog 404 - Tavola di Sergio Gerasi

Con il n° 404, Anna per Sempre, ci aspetteremmo di seguire le vicende del mitico n° 4, Il Fantasma di Anna Never: mitico perché introduceva quella che è rimasta nell’immaginario dei lettori come una delle fiamme più belle del nostro Indagatore dell’Incubo e uno dei suoi più importanti amori. Mitico anche perché era il biglietto da visita con cui entrava in scena un certo Corrado Roi, rapidamente divenuto uno degli artisti più caratteristici, iconici e apprezzati di tutta la scuderia dylandoghiana. In questo caso, alle matite troviamo Sergio Gerasi, che non sfigura per niente nel confronto con l’originale e realizza in particolare (grazie alla sceneggiatura di Recchioni) una sequenza muta ad alto pathos emotivo, donando una straordinaria espressività ai personaggi.

Dylan Dog 404
Dylan Dog 404

Rispetto alla vicenda del n° 4, non va esattamente come ci si aspetterebbe: Anna, in questa nuova interpretazione, diviene la rappresentazione della dipendenza di Dylan dall’alcool. Una lenta deriva in acque sconosciute e poi un vero e proprio affondare nell’ossessione e nel delirio, da cui sembra non esistere via di fuga o salvezza. Recchioni torna a scrivere della malattia e, come già in passato, lo fa in maniera eccezionale, usando le parole giuste per toccare le corde del lettore. L’alcoolismo, così, da vago accenno comparso solo più avanti e per molto tempo solo qualcosa che faceva parte del suo passato e in cui, eventualmente, poter ricadere, diventa fin da subito un elemento sostanziale del percorso e della crescita di Dylan Dog, qualcosa che vediamo e tocchiamo con mano. Un altro tassello per arrivare al nostro Dylan Dog, è stato posto.

Dylan Dog 405
Dylan Dog 405

Per il n° 405, L’Uccisore, il riferimento è chiaramente al n° 5, Gli Uccisori e, di nuovo, la riscrittura di quelle prime storie ci spiazza. Innanzitutto per il cambio di responsabile della catena di omicidi, dovuti a degli oggetti di uso comune infusi di spirito omicida, proprio come nell’originale, che fa fuori (letteralmente) un personaggio classico ricorrente. Secondariamente perché questa parte della vicenda, con relativo colpo di scena, avviene nelle primissime pagine e non alla fine. Il resto dell’albo si concentra su quello che, ai tempi, non ci era stato detto. Su tutto quello che era rimasto silente, abbandonato in quel limbo che è lo spazio tra numero e l’altro, tra un mese e il successivo. Nel numero 5, infatti, Dylan commetteva deliberatamente un omicidio per punire chi, con ogni probabilità, la legge non sarebbe mai stata in grado di toccare. Un omicidio a sangue freddo. Un atto che mai ci aspetteremmo di veder compiere al nostro Old Boy. Un atto che, effettivamente, rimane un unicum in quasi 400 numeri, almeno fino al n° 399, Oggi Sposi, in cui sempre Recchioni torna a pigiare su quel tasto. Dunque cosa è successo a Dylan Dog dopo aver fatto quella scelta? Quali rimorsi o sensi di colpa ha dovuto affrontare? Oppure simili pensieri non l’hanno mai toccato, ma è giunto alla decisione di non uccidere più perché spinto da altri ragionamenti? I numeri originali non ce lo dicono.

Dylan Dog 405 - Tavola di Giorgio Pontrelli
Dylan Dog 405 - Tavola di Giorgio Pontrelli

Al contrario, tutta questa ridda di riflessioni e dubbi diviene centrale nel n° 405 e ne guida lo svolgimento, anche grazie al tratto di Giorgio Pontrelli, che alterna tavole di estrema pulizia ed essenzialità ad altre apparentemente caotiche e confusionarie, che ben ci mostrano visivamente il caos in atto nella mente di Dylan. Torna poi di nuovo il multiverso ed è proprio il confronto di questo Dylan con quello che tutti conosciamo, a risolvere la questione. E, ancora, un altro tassello è stato messo.

Nel frattempo, tutto si intreccia con il proseguo dell’indagine sul Killer delle Barzellette e che ci traghetta direttamente al gran finale.

Dylan Dog 406
Dylan Dog 406

Il n° 406, L’Ultima Risata, porta infine Dylan a dover affrontare il serial-killer a cui sta dando la caccia da tempo: un assassino che si traveste da Groucho Marx e che sembra essersi asserragliato nel manicomio di Harleck. Tutti i fili lasciati in sospeso vengono tirati, dimostrando, casomai ce ne fosse bisogno, che nulla era casuale e tutto aveva uno scopo. È l’ultimo atto, necessario, perché questo Dylan Dog finisca il suo percorso evolutivo e diventi in tutto e per tutto il Dylan Dog che tutti conosciamo. Per quest’ultimo albo torna alle matite, e soprattutto alle chine, Corrado Roi, il disegnatore che ha maggiormente contribuito a delineare la grafica e l’atmosfera di questo nuovo corso (e che tornerà anche il mese prossimo, nel n° 407). Raramente il manicomio di Harleck è apparso più gotico, lugubre e pericoloso, nonché infestato di incubi che prendono forma reale. La nebbia perenne, le architetture sghembe e a tratti non euclidee ci riportano dalle parti del lago Maggiore e della Labieno di UT, in cui già Roi aveva potuto scatenarsi per dare corpo alle sue fantasie. Il risultato è, come spesso accade, di altissimo livello e, appena chiuso l’albo, viene facile desiderarne una versione in grande formato per godere ancora meglio di simili tavole.

Dylan Dog 406 - Tavola di Corrado Roi
Dylan Dog 406 - Tavola di Corrado Roi

Conclusioni

In questa sorta di Anno Uno dell’Indagatore dell’Incubo, Recchioni ci ha condotto in un viaggio che ripercorresse le origini di Dylan Dog per mostrarci cosa fosse prima e cosa lo ha condotto, un passo alla volta, a diventare quello che conosciamo. Lo ha fatto, spesso, giocando con noi, divertendosi a sparigliare le carte, dandoci falsi indizi o sconvolgendo ciò che credevamo assodato, fisso e immutabile. Ha aggiunto personaggi e situazioni al background del personaggio rendendoli parte integrante del suo passato, cercando di dare al tutto una maggiore coerenza.

E, come ogni Anno Uno che si rispetti, era abbastanza ovvio che il personaggio risultante dovesse essere quello che tutti conosciamo, con alcuni dei suoi punti fissi. Ciò che è cambiata, semmai, è solo l’intelaiatura della serie, il mondo in cui sono ambientate le storie e, in parte, i rapporti tra i personaggi. Rapporti, nella maggior parte dei casi, in realtà non dissimili da prima, solo meglio spiegati, meglio approfonditi e più giustificati: dal rapporto quasi paterno di Bloch a paterno vero e proprio, per esempio.

Si è trattato, senza ombra di dubbio, di un gesto coraggioso. Nessun personaggio Bonelli è mai stato sottoposto a un simile restyling o reboot sulla sua stessa testata. Vi sono state collane parallele, chiusure e ripartenze, ma fino a poco tempo fa era impensabile che qualcosa di simile potesse accadere, soprattutto a un personaggio importante come Dylan Dog.

Per quanto riguarda il giudizio complessivo di questo miniciclo 666, è altalenante. Se da una parte si è apprezzato il coraggio con cui è stato realizzato, e in particolare alcune storie (più ancora che i primi albi, sono stati i n° 404 e 405 i migliori del ciclo), probabilmente avremmo preferito una uniformità narrativa ancora maggiore. La necessità auto-imposta di ripercorrere situazioni e personaggi delle prime storie, ha per forza di cose creato uno slegamento tra una vicenda e l’altra, decomponendo una linea narrativa tenuta insieme solo esilmente dalla sottotrama orizzontale. Comprendendone, dunque, il senso, ci sembra che una vicenda maggiormente coesa, come per esempio fatto proprio da Recchioni nella prima stagione di Orfani, avrebbe probabilmente portato a risultati ancora migliori.

Dylan Dog 406 - Tavola di Corrado Roi
Dylan Dog 406 - Tavola di Corrado Roi

D’altra parte si tratta di una operazione destinata a dare i suoi (eventuali) frutti concreti solo nel proseguo. Questa ristrutturazione delle fondamenta della serie sembra, infatti, propedeutica a una diversa gestione delle storie anche in futuro, in particolare per quanto riguarda i rapporti tra i personaggi. Nelle intenzioni di Recchioni e Bonelli, questo dovrebbe essere solo il primo passo per riportare Dylan all’essere un personaggio contemporaneo, sia nelle situazioni che si troverà a vivere negli albi che nel modo in cui quelle storie saranno raccontate, cioè con un taglio più seriale e strutturato. Esattamente come era il Dylan Dog degli inizi, legato al presente, capace di parlare ai giovani nel linguaggio dei giovani.

Se ci riuscirà, però, è ancora presto per dirlo. Non bastano 6 albi per poterlo dire con certezza.

Con buona pace nostra, che avevamo voluto aspettare la fine del ciclo per tirare le somme e, invece, abbiamo solo appena aperto la porta su un nuovo mondo.