L'amore vince sopra ogni cosa in L’amore che non muore (L’amour ouf) nel quale Gilles Lellouche racconta la storia che deve sopravvivere a sfide enormi.
Clotaire e Jackie si amamo come possono solo due adolescenti con un enorme peso sulle spalle. Lui è giovane ma già ha la nomea di delinquente senza speranza, lei orfana di madre. Sono entrambi vittime di un sistema, per certi aspetti, ma anche di circostanze avverse. Clotaire rifiuta di accettare che la scelta del percorso di studi già a 15 anni sia qualcosa che ti segni per la vita in un percorso obbligato. Lei la scelta la fa suo malgrado. L'amore che vivranno non conosce logiche. È un sentimento che li prende e li travolge, e in effetti hanno tanto in comune.

Una comune rabbia. Clotaire che vede il padre lavorare una vita come operaio per poi essere fagocitato ed espulso dal rinnovamento del sistema produttivo. Siamo negli anni '80, all'alba di un'era post-industriale che pure in Francia stava cominciando a mietere vittime. Jackie è più condizionata dai suoi drammi familiari, dalla morte della madre per la quale si sente responsabile.
Fatale per Clotaire è l'incontro con il boss della mala Le Brosse, che darà inizio alla catena di eventi che lo porterà in galera per 12 anni.

Ma l'amore non muore, neanche in galera. Quando Clotaire esce di galera non è meno arrabbiato, ma cerca ancora quell'amore che le sue azioni avevano allontantato. Jackie nel frattempo si è sposata, ma nella sua vita c'è ancora l'eco mai sopito di quell'amore. Tra i 15 e i 27 anni c'è un abisso che sembra enorme, molto meno in altre età. Pertanto sembra che ormai non ci sia più tempo per Clotaire, che rischia di tornare alla vecchia vita, con conseguenze persino peggiori della prima volta, quando forse perché è finito in galera che si è salvato la vita. Riuscirà la forza dell'amore a vincere sulla morte?

In questa storia ad ampio respiro, Gilles Lellouche adatta un romanzo popolare, Jackie Loves Johnser OK?, scritto da Neville Thompson nel 1997, inedito in Italia, trasportandolo dall'Irlanda alla Francia. La vicenda dei due giovani, a cavallo tra gli anni '80 e i '90, è sicuramente una storia d'amore, con toni noir disperati e un senso di ebbra follia, ma è anche un affresco storico che traccia le inquietudini di un'epoca, di una società in fermento. Per la trasposizione Lellouche attinge agli ultimi echi della Nouvelle Vague, ma anche al pulp e al noir, alla soap opera per certi versi, cercando la captatio benevolentiae dello spettatore con le sempreverdi musiche degli anni '80, il cui revival sembra non vedere fine.
I toni si alternano nella narrazione, con senso dell'equilibrio. Come commoventi possono essere le danze fuori dal tempo e dello spazio nella "bolla" dei due innamorati, crude e realistiche sono le parti pulp noir.

La fotografia sgranata e le luci di taglio di Laurent Tanguy illuminano un cast che risponde pienamente alle esigenze narrative. Efficaci entrambe le coppie Clotaire/Jackie ovvero la versione giovane Malik Frikah/Mallory Wanecque e François Civil/Adèle Exarchopoulos, con una netta preferenza di chi vi scrive per la prima. Come spesso accade poi, sono gli attori anziani a puntellare, a fungere da faro e riferimento, come il sempre eccezionale Benoît Poelvoorde, mimetico nel ruolo di Le Brosse, Alain Chabat nel ruolo del padre di Jackie, ed Élodie Bouchez e Karim Leklou, rispettivamente madre e padre di Clotaire.
La narrazione è di ampio respiro, e i 160 minuti del film non sono tutti giustificati probabilmente, ma in tempi di binge watching si può avere l'idea di assistere a una miniserie di 3/4 agili puntate, godendo di una visione cinematografica gratificante e ad ampio spettro.
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