Cresciuto negli anni Novanta, un bambino vive circondato da ombre che non sa ancora decifrare. Gli uomini della sua famiglia, compreso il padre, sono tutti morti giovani, lasciandolo senza risposte. Solo col tempo comprende che il suo cognome nella città in cui vive significa qualcosa. I film di gangster smettono così di essere solo intrattenimento e diventano specchi della sua stessa esistenza, riflessi di una violenza che ha inciso la sua vita fin dall’infanzia. Da adulto sarà proprio il cinema ad aiutarlo ad elaborare il trauma perché attraverso il suo linguaggio può rileggere la propria storia, interrogare il passato e dare un senso a ciò che ha sempre cercato di dimenticare. Trasporre la sua vicenda in un film diventa allora più di un gesto creativo, l’unico modo per affrontare un’eredità ingombrante e tentare di riempire quel vuoto che lo accompagna da sempre, provando ad afferrare una cosa vicina come il proprio padre, eppure per lui lontanissima.

Presentato alle Giornate degli Autori durante Il Festival di Venezia 82, Una cosa vicina è il primo lungometraggio di Loris G. Nese, (Nel 2023 aveva presentato a Locarno l’ultimo cortometraggio Z.O.). Attraverso un documentario molto particolare, che usa interviste, animazione, vecchi filmini di famiglia, animazione passo uno e scene di fiction, Nese ricostruisce più che la storia della morte del padre, l’inquietudine che la sua perdita gli ha provocato. Il volto dell’uomo è sempre nascosto mentre la voice over di Francesco Di Leva, s’interroga su come sia stato, poiché il protagonista non lo ricorda. Ciò a cui ha accesso sono le sue sensazioni di bambino di appena quattro anni, e poi i racconti della madre che molto tempo dopo gli ha rivelato la verità. Una storia personale quella cercata dal regista sia nella famiglia ma anche negli amici che, ora adulti non si spiegano come sia stato possibile quel silenzio collettivo e lo shock una volta conosciuta la verità.

Con Una cosa vicina Nese fa una riflessione su un passato pesantissimo ma che per lui non esiste poiché non ha potuto viverlo, e al quale può accedere solo attraverso vecchi filmati rielaborati dalla sua fantasia. Per questo il padre non può che essere una sagoma indistinta, un mistero insondabile, impossibile da conoscere e da afferrare ma solo da immaginare. Ma proprio grazie al cinema e ai suoi molteplici linguaggi la magia si compie, e nell’ultimo fotogramma quel viso compare emergendo da una pellicola del passato.
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