Il principe Vladimir ama appassionatamente sua moglie Elisabeta e farebbe di tutto per tenerla al sicuro contro i turchi che stanno per invadere il suo regno. Promette al vescovo che li fermerà, ma in cambio vuole la certezza che l’amata sarà condotta in salvo; così però non sarà, e la donna perirà proprio dopo la vittoria del marito sull’invasore. Ciò rende cieco d’odio il principe, che sfoga la propria ira impalando il sacerdote e rinnegando Dio, dannando così la propria anima per sempre. Sottrattagli la fuga dalla morte, l’uomo, diventato un vampiro, ha sete di sangue e viaggia tra le corti d’Europa per cercare la reincarnazione della sua amata, ma non trovandola si ritira nel proprio castello fino a quando non compare alla sua porta Jonathan Harker. Il giovane porta al collo un medaglione con il ritratto di Mina, la sua fidanzata, identica alla tanto amata Elisabeta.

Difficile dire quanto e cosa ci sia di sbagliato in questo Dracula – L'amore perduto di Luc Besson, tanto da rendere arduo riconoscere in questa pellicola la mano di chi un tempo girò film come Léon, Nikita o Il quinto elemento, ma persino opere meno riuscite ma pure dignitosissime come Lucy o Valerian e la città dei mille pianeti. L’ultimo lavoro di Besson, il cui cinema non ha incontrato grandi successi in questo decennio, ma la stessa cosa si potrebbe dire di un mostro sacro come Spielberg. Dogman sembrava invece aver riportato la sua carriera in carreggiata. Sorprende allora il risultato di questa ennesima trasposizione di Dracula, per un esito così profondamente disastroso su quasi tutti i fronti, al netto di qualche sequenza ben girata, specie nella prima parte del film.

Che Besson abbia sentito il desiderio di confrontarsi con uno dei grandi classici del cinema non è affatto strano: a breve uscirà il Frankenstein di Guillermo del Toro, mentre lo scorso anno Robert Eggers aveva rielaborato il mito di Nosferatu, quasi che la personalità del grande autore possa trovare una propria strada interpretativa su un mito del quale si è già detto tutto. Dracula – L'amore perduto guarda in modo evidente a Dracula di Bram Stoker girato da Francis Ford Coppola, discostandosi dal modello solo per introdurre discutibili variazioni di trama (come tutta la storia del profumo) o personaggi imbarazzanti (vedi i piccoli aiutanti gargoyle), Besson prende a mani basse dall’estetica del film di Coppola, come l’iconica acconciatura di Gary Oldman, riproponendola identica nel suo vampiro, in un’operazione che sa di parodia alla Dracula morto e contento di Mel Brooks più che a una citazione cinefila. Anche la scenografia sofisticata e volutamente teatrale del film americano si trasforma in Dracula – L'amore perduto in un apparato di cartapesta da pellicola a basso budget.

In questa prospettiva anche il paragone tra cast è impietoso: Caleb Landry Jones, sempre in overacting, è lontano anni luce da Gary Oldman, così come Zoë Bleu risulta imbrigliata in un ruolo troppo stereotipato per darle la minima chance di brillare. Non parliamo poi di Christoph Waltz nella parte di un prete–Van Helsing sotto il minimo sindacale; l’unica a dare un contributo sopra la media è Matilda De Angelis, che interpreta una Lucy made in Italy. Ma anche senza mettere Dracula – L'amore perduto in relazione con altri suoi illustri predecessori, e guardandolo come film in sé e per sé, la totale inadeguatezza del tono e la mancanza di controllo, che portano spesso la pellicola a imboccare la strada del comico involontario, rendono