Terzo secolo a.C. La Cina è divisa in sette Province che si fanno guerra tra loro. Il re della Provincia di Qin, ossessionato dall'idea di conquistare l’intero Paese e diventare così Primo Imperatore, è da tempo il bersaglio di assassini provenienti dagli altri stati, ma di tutti costoro nessuno lo terrorizza di più dei tre leggendari maestri d’arme chiamati Cielo, Spada Spezzata e Neve Che Vola. A chiunque li avesse sconfitti, il re di Qin aveva promesso denaro, terre, potere e un'udienza privata.

Tuttavia, sconfiggerli era quasi un'impresa impossibile. Per dieci anni nessuno era riuscito neanche ad avvicinarsi all'ambito premio.

Perciò, quando Senza Nome, un enigmatico magistrato della provincia di Qin, giunge a palazzo, portando con sé le armi dei tre avversari conquistate in duello, il re gli concede immediatamente udienza. Ricevuto a palazzo, seduto a dieci passi di distanza dal re, Senza Nome inizia a narrare la sua storia straordinaria...

Capita, purtroppo sempre più di rado, che anche il critico più severo e controllato desideri volentieri derogare dai limiti autoimposti; Hero rappresenta uno di quei casi.

Un’esperienza assolutamente appagante come non mi succedeva da un pezzo: forse hanno contribuito la passione per il genere definito wuxia, il cappa e spada orientale o la curiosità di assistere a una svolta nella carriera di Zhang Yimou, regista amato anche per altre sue opere (Lanterne Rosse, Non Uno di Meno, Sorgo Rosso, la mia preferita) o quella di poter vedere il maggior sforzo produttivo mai realizzato in Cina, 30 milioni di dollari ben spesi.

Il film è emozionante sotto qualsiasi punto di vista, estetico ed emotivo, semplice e complesso insieme come un perfetto apologo Taoista, un affresco in cui tutte le componenti, musica, colore, fotografia, interpretazione, soggetto, dialoghi interagiscono e sono complementari.

A proposito della narrazione, non lasciatevi trarre in inganno da quanti hanno paragonato la struttura di Hero a quella – se lo conoscete – del capolavoro di Akira Kurosawa, Rashomon, che è tra l’altro imbevuto di richiami alla letteratura europea, da Dostoevskij a Pirandello: qui la verità è una soltanto, e vi sarà facile capirlo.

Alla comprensione contribuiscono non poco le variazioni cromatiche che non sono un mero espediente artistico, ma una vera e propria chiave di lettura: il rosso rappresenta l’immaginazione, il verde la verità, il bianco la saggezza, il blu il coraggio.

Traspare il perché le riprese abbiano richiesto un tempo, sei mesi, ormai insolitamente lungo, da molto non capitava di assistere a una così spasmodica ricerca della perfezione estetica, nell’insieme e nel particolare (è forse una mia idea, ma tutti gli attori sono di bellezza non comune), nulla è stato lasciato al caso nella composizione dell’affresco.

Eccellenti, come si diceva, tutti gli attori, ma un plauso particolare va alla giovane che interpreta Luna, l’allieva di Spada Spezzata, la cui figura è basilare in tutte le tre versioni narrative, trasparente rappresentazione della presa di coscienza di un popolo finalmente unito “sotto lo stesso cielo”.

Impressionante la fotografia con il già citato policromatismo, incantevoli fino alla commozione le coreografie – o duelli, se preferite - una colonna sonora finalmente al servizio del film, mai invadente o fine a se stessa. C’è inoltre da aggiungere che, per essere un “neofita” del genere, il regista se la cava da consumato maestro nelle scene di massa.

Anche la scelta di affidare la regia a Zhang Yimou, amato all’estero ma mal visto in patria per la sua critica sociale spesso aspra, è l’ennesima dimostrazione dell’apertura cinese all’occidente.

Come da ragazzo, e ragazzo non sono più, il mio desiderio immediato è stato rivedere Hero immediatamente, senza nemmeno uscire dalla sala, e non escludo che uno di questi giorni, magari proprio mentre state leggendo queste righe, io non lo faccia, perché non ho voglia di aspettare il dvd.