Introduzione dell’Autore

Io sono uno scrittore e nello stesso tempo uno storico e questa combinazione non è poi tanto strana, dal momento che anche molti miei colleghi – Barbara Hambly, Katherine Kurtz, Judith Tarr, Susan Shwatrz e John F. Carr – per citarne solo alcuni, hanno sfruttato la loro cultura universitaria per rendere più autentiche le loro opere letterarie. Se non fossi un appassionato di narrativa fantastica, probabilmente non mi sarei mai interessato alla storia bizantina. Frequentavo ancora il liceo quando lessi Abisso del Passato di L. Sprague de Camp, nel quale un moderno archeologo si ritrova nell’Italia del sesto secolo. Continuavo a domandarmi quanto quel testo avesse rispettato la realtà storica e quanto fosse frutto della fantasia e così rimasi intrappolato.

Questo romanzo deve molto alla mia cultura accademica. Esso presenta un mondo alternativo, nel quale non si è verificata la grande espansione araba che allargò i confini dell’Islam dall’Atlantico alla frontiera con la Cina. L’Impero Bizantino mantiene il controllo della Siria, della Palestina, dell’Egitto e del Nord Africa, oltre a non dover lottare per la sopravvivenza in Asia Minore e difendere Costantinopoli da un assedio che in caso di sconfitta l’avrebbe definitivamente distrutto. Privo di queste tensioni nell’Est, l’Impero mantiene nell’Europa occidentale un ruolo molto più importante di quello che ebbe nella realtà. Anche la storia della grande rivale orientale di Roma, la Persia, è molto diversa. Priva delle pressioni musulmane, resta l’unica potenza in grado di eguagliare e di trattare alla pari con l’Impero. Di tanto in tanto, questi due Stati si combattono apertamente, più frequentemente maneggiano per ottenere un piccolo vantaggio o per provocare disordini nelle terre del rivale. Entrambi perseguono il sogno di una vittoria completa, che però per il momento non è stata possibile per nessuno dei due contendenti.

In questo mondo vive Basil Argyros, soldato e agente dell’Impero. Si tratta probabilmente di un mondo più conservatore del nostro, dal momento che ha subito meno cambiamenti radicali rispetto ai tempi della classicità, ma non è comunque immobile, come Argyros impara anche a sue spese.

Un’ultima precisazione: generalmente, i bizantini non riconoscevano la nascita di Cristo come principio della loro era. L’etos kosmou (anno del mondo) iniziava il primo settembre e gli anni erano calcolati a partire dalla Creazione, che gli studiosi ritenevano avvenuta il 1° settembre 5509 a.C. Perciò questa storia, che inizia nell’etos kosmou 6184, prende l’avvio dall’autunno del 1305.

Harry Turtledove

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ETOS KOSMOU 6814

Quando vedeva la steppa a nord del Danubio, Basil Argyros pensava al mare: così verde e ondulata, quella distesa pareva allungarsi fino alla terra di Serinda, dove circa ottocento anni prima il grande Giustiniano si era impossessato del segreto della seta.

Col passare dei secoli, i nomadi si erano catapultati come ondate contro i confini dell’Impero Romano: avevano iniziato gli Unni e gli Avari, poi erano giunti i Bulgari e i Magiari, e ora toccava agli Jurchen.

Argyros si obbligò a tornare alla realtà: come comandante della pattuglia di avanscoperta non poteva certo permettersi di divagare. Si rivolse quindi al suo compagno, un giovane biondo di Tessalonica di nome Demetrios e disse: – Ancora niente. Avanziamo.

Demetrios fece una smorfia. – Come vuoi, ma non credo che da queste parti ci siano dei diavoli. Perché non ce ne torniamo al campo? Mi piacerebbe proprio bere un po’ di vino.

Demetrios aveva quasi tutte le qualità indispensabili a un buon esploratore: era bello, sano e attento, ma certamente non era sobrio. Ad Argyros, invece, faceva difetto la bellezza: le sue sopracciglia erano un’unica linea diritta e i suoi occhi avevano la tristezza di chi ha vissuto troppo e troppo presto, nonostante fosse solo di qualche anno più vecchio di Demetrios e non raggiungesse nemmeno la trentina.

– Avanziamo ancora di mezzo miglio – decise, – poi, se non troviamo niente, torneremo indietro.

– Signorsì – rispose Demetrios, rassegnato.

Procedettero nell’erba alta. Senza la cotta di ferro, Argyros si sentiva nudo, nonostante la tunica di pelo di capra. Gli jurchen erano abilissimi arcieri, ma il tintinnio delle maglie l’avrebbe tradito, oltre a far rallentare la marcia del cavallo.

Oltrepassato un piccolo torrente, notarono delle impronte di zoccoli nel terreno melmoso: non si trattava dei cavalli ferrati usati dai romani, ma dei pony della steppa.

Saranno stati una mezza dozzina, si disse Demetrios, guardando intorno come se si aspettasse un agguato.

– Sarà la loro avanscoperta – dedusse Argyros. – Il resto della truppa non deve essere lontano.

– Torniamo indietro – disse Demetrios afferrando l’arco e preparando una freccia.

– Adesso sono d’accordo con te – convenne Argyros.– Abbiamo trovato quello che stavamo cercando. – Fecero girare i cavalli e si avviarono verso l’accampamento romano.

L’hypostrategos, o comandante in capo, era un ometto dal volto appuntito di nome Andreas Hermoniakos, il quale ascoltò il rapporto di Argyros con aria cupa; a dire il vero, mutava quell’espressione molto raramente, a causa dei suoi problemi di stomaco. – Bene – concluse, – una bella scarica di percosse insegnerà a quei ladri di galline a non oltrepassare il fiume. Puoi andare.

Argyros si congedò e lasciò la tenda del comandante.

Alcuni minuti dopo, la tromba chiamò l’adunata. Gli uomini indossarono le cotte e gli elmi piumati, prepararono gli archi e le frecce e si allinearono davanti al generale per la preghiera.

Alla pari di molti suoi compagni, Ioannis Tekmanios era armeno, nonostante parlasse il greco senza alcuna inflessione orientale. L’esperienza gli aveva insegnato il tono da usare per parlare con le truppe. – Bene ragazzi – iniziò, – abbiamo già sconfitto una volta questi straccioni sul loro stesso suolo; adesso non ci resta che portare a termine il lavoro. Gli infliggeremo una lezione che non si dimenticheranno per un pezzo, o io mi taglio la barba! – I soldati scoppiarono a ridere, perché la sua barba fluente scendeva fino all’armatura.

– L’imperatore – continuò, – confida in noi perché respingiamo questi barbari fuori dai nostri confini, e state pure certi che ci sarà riconoscente.