Evidenziato questo concetto, Tekmanios proseguì: – Quando avremo vinto, riceverete ciò che vi spetta, ma non attardatevi a saccheggiare i cadaveri e il campo: rischiate solo di farvi uccidere e di non poter spendere i vostri guadagni. Ricordatevi: combattete al meglio e date ascolto ai vostri ufficiali. E ora preghiamo insieme per ottenere la protezione di Dio in questa giornata. – Un sacerdote vestito di nero gli si accostò e, dopo essersi fatto il segno della croce, intonò: – Kyrie eleison. – I soldati gli risposero: – Signore, pietà!

La preghiera si protrasse a lungo e continuò con l’inno del Trisagion, il primo canto del mattino e l’ultimo della sera: – Santo, Santo, Santo, abbi pietà di noi!

Generalmente il Trisagion era seguito dall’invocazione latina «Nobiscum Deus», ma il sacerdote di Tekmanios credette più adeguato un inno composto da San Maometto, il grande poeta religioso: – Non c’è altro Signore all’infuori di Dio, e Cristo è suo figlio.

Argyros cantava insieme agli altri. San Maometto era uno dei suoi santi preferiti e il convertito più attivo che la Chiesa avesse avuto dopo Paolo. Era nato nel deserto arabo e, fattosi cristiano durante un viaggio in Siria, non aveva più fatto ritorno a casa. Si era dedicato completamente a Cristo, componendo inni ispirati, e aveva fatto una rapida ascesa nella gerarchia ecclesiastica terminando i suoi giorni come arcivescovo di Nuova Cartagine, nella lontana Ispania. Canonizzato poco dopo la morte, era venerato come il protettore dei cambiamenti.

Terminata la preghiera, l’esercito si schierò dietro lo stendardo del menarca in capo. I menarchi, comandanti dei reggimenti, erano rappresentati da bandiere più piccole; i vessilli dei tagmata, le legioni, erano addirittura simili a dei semplici nastrini. I tagmata erano composti da una quantità di uomini che poteva variare da duecento a quattrocento, allo scopo di impedire al nemico di prevederne il numero. Una piccola riserva restava a guardia del campo e delle salmerie. I primi a muoversi furono gli esploratori, attenti ad avvistare la nuvola di polvere che avrebbe tradito la presenza degli jurchen. Argyros prese una manciata di orzo bollito e una striscia di carne secca e sorseggiò un po’ d’acqua dalla borraccia. Notò che Demetrios faceva schioccare le labbra dopo aver bevuto e sospettò che, contrariamente a quanto era stato loro ordinato, avesse preso del vino. Si infuriò, ma ben presto dovette riconoscere che il vino non aveva affatto allentato l’attenzione del compagno, perché fu proprio lui il primo ad avvistare gli jurchen. – Là – urlò, indicando il nord-est. Non appena l’avvistamento fu accertato, un esploratore si affrettò a riferirlo a Tekmanios.

Gli altri avanzarono per studiare gli jurchen da vicino. I nomadi erano abilissimi nello scaglionare le truppe in modo da sembrare più numerosi, e amavano tendere agguati, fatto che rendeva ancora più importante la precisione dell’avanscoperta.

Strizzando gli occhi per vedere meglio, Argyros poté distinguere un gruppo di nemici sulla cima di una piccola altura: sicuramente erano degli esploratori. – Facciamoli fuori – ordinò. – Da quella posizione, saremo noi a spiare invece di essere spiati.

Gli uomini incoccarono le frecce e incitarono i cavalli. Gli jurchen li videro e si apprestarono alla difesa, lasciando solo pochi uomini di vedetta. Cavalcavano cavalli più piccoli e indossavano armature di cuoio bollito invece delle pesanti cotte di ferro usate dai romani; erano dotati di spade ricurve, ma preferivano servirsi dell’arco.

Uno di loro si sollevò sulle staffe e scoccò una freccia che schivò un romano andando a perdersi nell’erba alta.

– Avanti! – incitò Argyros. – Siamo troppo lontani per poterli colpire.

Alcuni istanti dopo un cavallo fu raggiunto da una freccia e trascinò il suo cavaliere lontano dal campo di battaglia. Quindi fu la volta di uno jurchen, che si strinse la gola fra le mani e cadde da cavallo. Ben presto l’aria riecheggiò del sibilo delle frecce e dei lamenti dei moribondi. I romani si facevano avanti forti della protezione assicurata loro dall’armatura. Argyros era convinto che i nemici si sarebbero ritirati, invece li vide estrarre le spade e fare barriera intorno al gruppetto rimasto sull’altura.

Uno di loro, un uomo anziano dai capelli quasi completamente bianchi, si accostò all’occhio un lungo tubo e lo puntò verso il grosso dell’esercito romano. Argyros rabbrividì e, se non avesse avuto le mani occupate, si sarebbe fatto il segno della croce: era convinto che qualche stregone jurchen avesse trovato il modo di gettare il malocchio su di loro.

Le sue elucubrazioni vennero interrotte dall’inatteso sopraggiungere di un nemico, ma riuscì a parare il fendente e a disarcionare l’aggressore. Mentre quest’ultimo si ritirava ferito, Argyros scorse di traverso una lancia con sette code di bue legate sulla cima: lo stendardo dell’esercito jurchen. – Ritirata! – urlò. – Ritirata, o li avremo tutti addosso!

Diversamente dai franco-sassoni della Gallia settentrionale e della Germania, i romani non combattevano per la gloria e non ritenevano una vergogna il ritirarsi dinnanzi a forze superiori alle loro.

Argyros si era voltato per verificare che tutti i sopravvissuti potessero arretrare senza difficoltà quando vide che Demetrios aveva aperto una breccia nella barriera nemica e stava combattendo da solo contro un gruppo di nomadi. Proprio mentre gli urlava di lasciar perdere, Demetrios cadde sotto un nugolo di frecce.

In quel frangente non poteva fare nulla per vendicarlo. Si fermò insieme ai suoi uomini su un’altura vicina, che però non godeva di una posizione strategica come quella su cui si trovavano gli jurchen, e mandò due soldati ad avvisare Tekmanios dell’accaduto e a rifornirsi di frecce, sperando che potessero essere di ritorno prima dell’ormai inevitabile attacco. Sfruttava ogni occasione per osservare l’avanscoperta dei nemici, alla ricerca dell’uomo con il tubo, ma non riuscì più a individuarlo. Era la prima volta che vedeva un simile oggetto e questo fatto lo rendeva terribilmente guardingo.

Con un urlo di gioia gli uomini gli mostrarono l’esercito romano che si avvicinava. Da quella visuale la strategia di Tekmanios gli balzò immediatamente agli occhi. Due tagmata erano stati schierati sull’ala destra, leggermente distanziati dal resto delle truppe, con lo scopo di nascondere le divisioni che avrebbero colto i nemici di sorpresa. I nomadi non avrebbero dovuto vederle dalla loro altura, ma non era così.