Se lo sciamano aveva usato due tubi anziché uno solo aveva senz’altro avuto le sue ragioni. Deciso a tentare tutte le strade, Argyros richiuse quasi completamente il congegno e riprovò a guardare, ma era tutto ancora più confuso di prima. Per nulla demoralizzato, estrasse il tubo più piccolo più o meno a metà.

– Per la Vergine! – esclamò. Sebbene l’immagine non fosse perfetta, riusciva a vedere i rami e le foglie di una pianta che cresceva sull’altro lato del ruscello e li distingueva talmente bene che gli sembrava di poterli toccare. Allora provò ad accorciare leggermente il tubo, ma l’immagine si sfuocò. Lo allungò nuovamente, più di prima, e distinse nitidamente le foglie, anche se vagamente distorte, mentre il cerchio luminoso si colorava di blu a un’estremità e di rosso all’altra. Argyros poteva vedere persino le singole piume di un fanello talmente lontano che a occhio nudo non l’avrebbe nemmeno scorto. Era stupefatto.

A dire il vero, già Aristofane e Seneca avevano affermato che un vaso di vetro rotondo pieno d’acqua era in grado di ingrandire le immagini di oggetti vicini, ma nessuno degli antichi aveva mai pensato di poter ingrandire gli oggetti lontani. D’altro canto, il vaso pieno d’acqua era più spesso al centro e più assottigliato ai bordi, esattamente come i cristalli di Orda, e quindi erano le caratteristiche del materiale stesso a modificare la luce, non gli spiriti.

Argyros si sentì immensamente sollevato. L’idea che Dio non avesse dato ascolto alle sue preghiere lo aveva sconvolto, ma adesso tutto gli era diventato chiaro. Richiuse il tubo e lo depose nella bisaccia. Non gli restava altro da fare che portarlo al campo romano e farlo riprodurre dagli artigiani.