La Sicilia è ricca di leggende. Abbiamo già esplorato una parte di queste storie. Lo stretto di Messina ha una parte importante nel poema omerico dell'Odissea (vedi /rubriche/5680/) e Palermo è la patria del famigerato Cagliostro (vedi /rubriche/6284/). Ma questa terra offre altri miti suggestivi. L'isola stessa è legata alla storia del gigante Tifeo. Secondo questa antica leggenda, infatti, Tifeo osò impossessarsi della sede del cielo. Per questo affronto agli dei, venne da loro condannato e imprigionato sotto l'isola. La sua mano destra è bloccata sotto Peloro (Messina), la sinistra sotto Pachino, mentre Lilibeo (Trapani) gli blocca le gambe. Ma il supplizio peggiore lo subisce la testa, su cui preme l'Etna. Le eruzioni del vulcano infatti non sarebbero altro che gli sforzi del gigante di smuoversi e di scrollarsi di dosso questo terribile fardello. Tifeo è furente per la sua prigionia, quindi proietta sabbia e vomita fiamme dalla bocca. Dall'Etna ci spostiamo nello spazio, a Catania, e nel tempo, all'VIII secolo d.C., per conoscere un grande mago.

“U Liotru” e la leggenda di Eliodoro

L'emblema di Catania (l'antica Càtinon) è l'elefante. Oggi per esempio è possibile vederlo sul logo comunale della città o sul simbolo della squadra di calcio, ma la sua origine è molto antica. Perché è così importante questo animale per Catania? Ci sono varie storie intorno a questo emblema. Una racconta di come l'elefante sia stato l'unico animale a difendere la città, quando le belve del circondario attaccavano i suoi abitanti. Altro elemento da prendere in considerazione è il culto di Dionisio, che ebbe molta diffusione nei periodi ellenistico e romano della Sicilia; e com'è noto Dionisio sconfisse le Amazzoni proprio a cavallo di un elefante. La fama dell'animale poi ebbe la definitiva espansione quando Annibale fece vacillare l'Impero Romano, proprio con le sue truppe di elefanti. A Catania l'elefante divenne il simbolo della città. Venne preparata una scultura dell'animale, usando però non marmo o travertino, bensì pietra lavica; in questo modo la statua avrebbe protetto il territorio dalla furia dell'Etna, come un talismano. La figura fu posta sulle porte della città e vi rimase fino ai tempi della dominazione araba, quando fu trasferita nella chiesa dei Benedettini. Oggi il simulacro adorna la monumentale fontana che si trova a Piazza Duomo e viene comunemente chiamato "U liotru". Ma la vera origine del Liotru sarebbe avvolta nella leggenda.

Il nome dell'elefante (Liotru) deriva da Eliodoro, un mago che visse intorno al 725 d.C. In quel tempo Catania era una provincia bizantina dell'Impero Romano d'Oriente, retto allora da Leone III l'Isaurico. Eliodoro era dotato di poteri soprannaturali, era un mago, un incantatore. Come aveva ottenuto le sue capacità? Questo individuo era un uomo intelligente e ambizioso, che aspirava a diventare vescovo di Catania, e poi magari prefetto. Ma pur con tutte le sue doti, non riusciva ad affermarsi. Un giorno però conobbe uno stregone ebreo, che lo iniziò alle arti magiche e lo convertì al giudaismo. La leggenda vuole che una notte Eliodoro si recò presso il sepolcro degli eroi, ponendosi in cima a una colonna per evocare il diavolo, grazie a un misterioso scritto che gli era stato consegnato dallo stregone ebreo. In cima alla colonna, lacerò e disperse la pergamena al vento. Satana infine apparve e gli chiese cosa volesse. Eliodoro gli confidò le sue ambizioni, al che il demonio gli disse: “Se rinneghi la fede in Cristo, ti pongo a fianco uno della mia corte, Gaspare, che sarà tuo servo, e ti conferirò poteri magici.” Eliodoro accettò e in questo modo ottenne poteri straordinari.

Sono moltissimi gli incantesimi attribuiti a Eliodoro. Pare che fu lui stesso a costruirsi magicamente l'elefante, con la lava dell'Etna. A cavallo della magica creatura girava per la città, facendo scherzi e dispetti alla popolazione. Si racconta poi che andasse al mercato e comprasse tutto ciò che volesse, pagando in ori e diamanti; ma una volta che se ne andava, i preziosi si trasformavano in sassi. Una volta invece beffò il nipote del vescovo. Lo fece puntare a una corsa di cavalli, facendolo vincere. Ma al momento della premiazione il cavallo vincente parlò, davanti agli astanti stupiti, rivelando che in realtà era Satana stesso, messosi al servizio del mago per lo scherzo, e poi sparì.

Un sortilegio veramente perfido lo fece ai danni di Costantinopoli. Si trovava in visita nella città, portatovi dall'inviato dell'imperatore, Eraclio. La moglie di Eraclio era irritata, perché il marito era stato costretto a fare due viaggi in mare per prendere Eliodoro; il mago poi esercitava una forte influenza sul coniuge, plagiandolo per i suoi scopi. Quando infine Eraclio ed Eliodoro arrivarono a Costantinopoli, la donna vide il mago, nero e sporco, di aspetto misero; allora sbottò e prese a insultarlo e minacciarlo. Eliodoro, furente, decise di darle una lezione che non avrebbe più dimenticato. Di colpo l'intera città cadde nel buio completo, tutti i fuochi si estinsero e tutte le luci si spensero. Poi una vampa magica scaturì dalle abbondanti terga della donna, che fuggì in preda alla disperazione e alla vergogna, trascinandosi fino alla piazza principale, tra le risa della popolazione. I cittadini sghignazzando le si accostavano per accendere le torce, visto che la sua era l'unica fonte di luce. La donna giacque urlando per tre giorni e tre notti. Tutto il popolo rideva, alle spalle dei potenti della corte, e l'imperatore era esasperato. Intanto il santo vescovo Leone predicava contro le magie diaboliche di Eliodoro, che ancora più superbo spadroneggiava su Catania, beffandosi di tutti e di tutto ciò che più sacro era al mondo.