La piana di Kratos è un campo di grano maturo.

Non è visibile, ora, ma io so cosa cela quella spessa coltre nebbiosa, rivelata a stento dal misero quarto di luna appeso nella fosca oscurità di questa lunga notte.

Poco prima dell'aurora, arrivo sulla cresta collinosa che, da Est, domina l’ampia vallata. Mi siedo su un tronco abbattuto da un fulmine: una panca naturale che pare messa lì apposta, proprio in cima al declivio che digrada deciso verso valle.

Mi rilasso, attendo lo spettacolo dell'alba che a breve si riverserà sul pianoro, inondando di luce torbida la promessa di un raccolto abbondante.

Ascolto i suoni. Ovattati, certo, nondimeno distinguibili.

"Loro" sono già là, confusi nella tenebra caliginosa, intirizziti fino al midollo, fino all'anima. Qualcuno ha voluto anticipare il giorno; qualcun altro, forse in risposta, forse no, ha fatto altrettanto. Bizze, o calcoli strategici, chissà. Poco importa.

Aspetto. Non manca molto.

Ecco i primi raggi. Sciabolano attraverso le fronde della foresta che orna i colli orientali. Lame inesorabili, che chiazzano e trafiggono la bruma adagiata dabbasso. Fasci sempre più numerosi, sempre più ampi, colpiscono la nebbia fino a disperderla in particelle di rugiada disseminate su metallo, cuoio e pelle. Fino a che il sole non fa capolino oltre la dorsale, e tutta la larga conca è rivelata.

I due eserciti si fronteggiano, schierati.

All'imboccatura meridionale di Kratos, poco dopo l'omonimo villaggio, sono spiegate le forze di Antemion, sovrano di Arkea. Arkea l'Antica, la Prima delle Città. Arkea, splendida e decadente. Invidiata, eppure stanca.

Nella prima riga dello schieramento, distinguo uno scudo inconfondibile, che non teme né di sostenere il primo impatto, né di farsi riconoscere. Quella chimera stilizzata è il simbolo di Lysander, l'Eroe. La sola presenza dell'intrepido guerriero incute timore ad ogni nemico, erode il coraggio ai più arditi. Le sue gesta sono note alle genti, i cantori le narrano attorno ai focolari. C'è chi già intreccia poemi. Avvoltoi auspicano il suo violento trapasso per poter comporre la più sublime delle tragedie.

Verso settentrione, il generale Brasida ha disposto al meglio le sue truppe, rispettando l'ordine compatto dello schieramento oplita, senza dimenticare di proteggere i fianchi: il sinistro è difeso da arcieri e frombolieri, appoggiati da numerosi scorridori barbari, tutti opportunamente celati fra le rocce e gli arbusti che frammentano la china collinare; il destro, quello fisiologicamente debole della falange, con un buon rincalzo di ausiliari armati di giavellotto e un battaglione di fanti leggeri. Da quel lato, ad ogni modo, il versante presto ripido impedirà ad Antemion di sfruttare la mobilità dei suoi feroci mercenari xici, cavalieri senza eguali, benché militi di scarsa tempra e motivazione.

La guerra sta cambiando. Non si combatte solo spalla a spalla, muso all'esercito rivale o alla nuca del compagno. Coraggio, forza e volontà, i vecchi pilastri bellici, non bastano più di fronte al mutare delle condizioni. Strategie e tattiche vanno riviste, affrontate con meno scrupoli per la tradizione e l'onore.

Il condottiero esorta il suo cavallo su una posizione laterale, leggermente sopraelevata. Studia il nemico. Pare stia controllando come Antemion abbia disposto, tra la quinta e la sesta linea di fanteria pesante, una fitta doppia fila di arcieri, pronti ad eclissarsi dopo aver scaricato una pioggia di dardi.

Secondo me, lo preoccupa soprattutto la presenza di Lysander tra gli avversari. Migliaia di uomini sono pronte allo scontro: un singolo, per quanto valoroso, non dovrebbe fare la differenza. Ma le forze in campo, pur dissimili, sono estremamente equilibrate. Troppo. Anche per questo esistono gli Eroi.

Il maturo Brasida, vincitore di tante campagne, avrebbe voluto evitare la pazzia di accettare il confronto su quel terreno. Ma il diciottenne re Niso di Mirinto non aveva voluto sentire ragioni.

Conosco bene Brasida.

Immagino su cosa stia riflettendo, di fronte a questa forzata resa dei conti. Magari, appena ora realizza come la scelta del suo re non sia stata, in fondo, così sconsiderata. Di come solo in apparenza Niso sia un giovane avventato e cocciuto.

Questo conflitto interminabile deve finire al più presto. In un modo o nell'altro. Sta logorando la forza vitale di entrambi i regni, e gli occhi avidi dell'Alleanza della Costa Orientale - forte dei suoi scrigni colmi dei proventi mercantili, nonché di uno stuolo di prezzolate truppe straniere - sorvegliano con tangibile interesse gli sviluppi di quel endemico antagonismo.

E' una scommessa sul futuro, quella di Niso. Non sul presente.

Una scommessa azzardata, tuttavia.

La valle di Kratos è il luogo giusto per uno scontro risolutivo.  Una losanga con alture fittamente boscose da una parte e pareti scoscese di aspra roccia dall'altra. Un doppio imbuto, che non consente fuga. Che impone vincitori e vinti.

Purtroppo, che prevalga l'uno o l'altro, la battaglia rischia di risolversi in una carneficina su entrambi i fronti. Questo è un male. La debolezza di un esercito, pur anche vittorioso, attira nuovi predatori. Sciacalli senza onore, pronti ad approfittarsi, con fredda razionalità, di un'opportunità unica e irripetibile.

Conosco Antemion ancora meglio di Brasida.

Potrei scommettere sui suoi pensieri. Il suo è un segreto e assiduo rimuginare, di solito ben camuffato dietro atteggiamenti ora dispotici, ora istrionici, dietro l'assertività inamovibile di parole e azioni, dietro il fascino virile del volto, incorniciato dalla chioma ricciuta e dalla barba possente.

Di certo, anche lui - lo spietato, crudele, ambizioso Antemion, che conquistò l'Eudea, che annichilì Thira, che asservì Kroti, che umiliò la Lega Relfica – sta covando pensieri cupi, grevi di consapevolezza. Il cruccio del "domani" corrode da dentro le sue certezze, la sua boria, la sua astuzia. Inasprisce la sua irritazione.

Arkea è fragile come non mai. La sua sopravvivenza minacciata.

In realtà, Antemion se ne frega del vanto di una civiltà secolare, della sua continuità. Le sue accalorate orazioni sull'eredità dell'Antica sono zelo demagogico con cui ammanta un trono egoista ed egocentrico. Il potere che anima tutta la sua esistenza è però vincolato alla sovranità di Arkea.

Qualora vincitore, lo “smidollato Niso” – così lo chiama Antemion - probabilmente non reclamerebbe la sua testa mozzata, ma di certo gli imporrebbe una sorte per lui peggiore della morte: un esilio privo di autorità.