«Dovresti fare più attenzione» abbaia Sarita all’uomo più anziano, minacciandolo con un gesto del braccio. «Spero che tu non sia un ladro, altrimenti sarai punito».

«No, no, memsahib, sono soltanto terribilmente maldestro». Abbandona il sorriso e con esso i modi da allegro sempliciotto. Mormora all’orecchio di mia madre con impeccabile accento inglese: «Circe è vicina».

Per me non ha senso, è solo una frase assurda pronunciata da un ladro molto astuto per distrarci. Sto per dirlo a mia madre, ma l’espressione di panico assoluto sul suo viso mi raggela. Ha gli occhi sgranati e si gira di scatto a scrutare le strade affollate come se cercasse un bambino perduto.

«Che cosa c’è? Che cosa succede?» chiedo.

Gli uomini sono scomparsi. Inghiottiti dalla folla in movimento, di loro restano solo le orme nella polvere. «Che cosa ti ha detto quell’uomo?».

La voce di mia madre risuona gelida e risoluta. «Niente. È chiaro che era un pazzo. Le strade di questi tempi non sono più sicure». Non l’ho mai sentita parlare con questo tono. Con tanta durezza. Tanta paura. «Gemma, penso sia meglio se vado da Mrs Talbot da sola».

«Ma… e la mia torta?». È una cosa ridicola da dire, ma è il mio compleanno e, sebbene non abbia voglia di trascorrerlo seduta nel salotto della Talbot, ancor meno desidero sprecare il tempo da sola a casa, tutto per colpa di un pazzo con un mantello nero e del misterioso messaggio che ha portato a mia madre.

La mamma si stringe nello scialle. «Mangeremo la torta più tardi…».

«Ma avevi promesso…».

«Lo so, ma è stato prima…» si interrompe.

«Prima di cosa?».

«Prima che tu mi facessi spazientire così! Sul serio, Gemma, non sei dell’umore giusto per andare in visita oggi. Sarita ti riaccompagnerà a casa».

«Io sono di ottimo umore» protesto, dando l’impressione contraria.

«Invece no!». Gli occhi verdi della mamma si fissano sui miei. In essi c’è qualcosa che non ho mai visto prima. Una rabbia sconfinata e terrificante che mi toglie il respiro. Scompare di colpo com’è arrivata e la mamma torna quella di sempre. «Sei stanca e hai bisogno di riposare. Festeggeremo stasera e potrai bere anche un sorso di champagne».

Potrai bere un sorso di champagne. Non è una promessa: è una scusa per sbarazzarsi di me. Un tempo facevamo tutto insieme e adesso non riusciamo neppure a camminare per il mercato senza litigare. Io rappresento un impiccio e una delusione. Una figlia che lei non vuole portare da nessuna parte, né a Londra e neppure a casa di una vecchia arpia che prepara un tè disgustoso.

Il treno fischia di nuovo, facendola trasalire.

«Senti, ti lascio indossare la mia collana, d’accordo? Ecco, prendila. Ti è sempre piaciuta tanto».

Resto immobile, ammutolita, mentre lei mi adorna di una collana che in effetti ho sempre voluto ma che adesso mi opprime con il suo peso, luccicante e odiosa. Un regalo per corrompermi. La mamma lancia un’altra occhiata frettolosa al mercato polveroso prima di posare di nuovo i suoi occhi verdi su di me.

«Ecco, sembri… grande». Mi preme la mano guantata sulla guancia, indugia qualche istante, come a memorizzarla con le dita. «Ci vediamo a casa».

Non voglio che qualcuno si accorga delle lacrime che mi riempiono gli occhi, così cerco la cosa più cattiva da dire che mi affiora alle labbra mentre scappo via dal mercato.

«Non mi importa se non tornerai più a casa».

 

Capitolo Due

 

Scappo via in mezzo alla calca di venditori e accattoni e cammelli dall’alito fetido, sfiorando due uomini che portano dei sari appesi a una corda fissata a due bastoni. Mi infilo in una stradina stretta, seguendo i vicoli tortuosi finché sono costretta a fermarmi per riprendere fiato. Lacrime roventi mi rigano le guance. Mi abbandono al pianto, ora che non c’è nessuno intorno a me.

Che Dio mi salvi dalle lacrime di una donna, perché non c’è forza che riesca a fermarle, direbbe mio padre se fosse qui. Mio padre con gli occhi scintillanti e i baffi folti, la risata fragorosa quando lo faccio contento e lo sguardo perso – come se non esistessi – quando non mi comporto bene. Immagino che non sarà troppo felice di sentire quello che ho fatto oggi. Dire cattiverie e scappare non è il genere di comportamento che può favorire la causa di una ragazza desiderosa di andare a Londra. A pensarci mi si contorce lo stomaco. Ma che cosa mi è saltato in testa?

Non posso fare altro che inghiottire l’orgoglio, tornare indietro e scusarmi. Se riesco a ritrovare la strada. Non vedo niente di familiare intorno a me. Due vecchi siedono a gambe incrociate per terra e fumano sottili sigarette marroni. Mi osservano passare. Mi rendo conto di essere da sola per la prima volta in mezzo alla città. Nessun accompagnatore. Nessuna scorta. Una giovane dama inglese da sola. È molto scandaloso. Il cuore mi batte forte mentre accelero il passo.