Wrath of the Titans - La furia dei Titani è il seguito di Scontro Tra titani, uscito nel 2010 con ottimi risultati al botteghino nonostante una stroncatura netta da parte della critica.

Il nuovo film, per la regia di J.Liebesman e la sceneggiatura di Dan Mazeau e David Leslie Johnson, ripropone Perseo (Sam Worthington), semidio figlio di Danae e Zeus (Liam Neeson), ora padre vedovo di Helios (John Bell) alle prese con una nuova missione degna di un supereroe mitologico: la minaccia die Titani a turbare la quiete del mondo e dei cieli.

Sull'Olimpo c'è aria di guerra: gli dei stanno perdendo l'immortalità, frustrati dalla sempre minore devozione degli umani, e ciò scatena un'aspra lotta al potere. Ade (Ralph Fiennes) e Ares (Édgar Ramírez) si ribellano a Zeus e lo catturano per restituire il potere a Crono (padre di Zeus, Ade e Poseidone), con cui si sono accordati contro la vecchia alleanza. In questo modo i Titani stanno sfuggendo al controllo degli dei e tutto ciò avrà gravi conseguenze sulla Terra, che rischia di essere distrutta non appena Crono e i suoi fratelli avranno riconquistato il potere.

Perseo inizialmente reticente alle richieste di aiuto di Zeus e deciso a far crescere il proprio figlio in una realtà normale ed equilibrata, capisce di dover andare in soccorso del padre e insieme alla regina guerreiera Andromeda (Rosamund Pike) e al semidio Agenore (Toby Kebbell) figlio di Poseidone (Danny Huston) affronterà una nuova avventura attraverso il regno del Tartaro per salvare Terra e Olimpo, grazie soprattutto al supporto di Efesto (Bill Nighy), il dio caduto.

La sensazione principale è che La Furia dei Titani sia la maturazione di molte delle critiche ricevute due anni fa: fatti i dovuti mea culpa la produzione sembra aver cercato, riuscendoci per la maggior parte degli aspetti, a offrire al pubblico amante dell'epic fantasy un prodotto qualitativamente superiore rispetto al precedente, maggiormente ponderato e studiato.

Nonostante si continui a stravolgere la mitologia a uso e consumo della sceneggiatura, portandosi dietro fallaci variazioni che in qualche modo rischiano di confondere i ragazzi alle prese con lo studio delle antiche civiltà e che faranno storcere il naso agli appassionati di mitologia,  la caratterizzazione dei personaggi, sia estetica che in pensieri, parole, azioni e gesti risulta, seppure non estremamente realistica, nettamente più convincente, ponderata, credibile, mai stucchevole: i personaggi dialogano e si relazionano in modo armonico, corale e coerente senza oscurarsi tra loro, conquistando la scena senza eccedere o peggio passando inosservati.

Si tratta di una prova molto più riuscita per tutti gli attori presenti nel primo episodio e con il giusto spazio per le new entries: convince il quattordicenne John Bell, scozzese, nei panni di Helios, il figlio di Perseo: rende perfettamente l'amore incondizionato e l'ammirazione per il padre, centro del suo mondo, la voglia di conoscere, la paura e le caratteristiche talvolta ribelli tipiche dei ragazzi che devono cominciare a crescere.

Risulta ben riuscita l'interpretazione che Édgar Ramírez dà di Ares, affascinante nella sua fisicità ma al tempo stesso terribile, rendendo perfettamente la reale natura sanguinaria del dio della guerra (ben diversa da quella di Atena): riversa sul padre Zeus tutta la propria sete di vendetta e potere senza nessuna misura, al punto che lo stesso Ade (un Ralph Fiennes esteticamente calato nella parte che ormai gestisce magistralmente il proprio lato oscuro) arriverà a biasimarlo.

Buona e convincente anche la prova di Rosamund Pike nei panni di Andromeda: una regina guerriera che non gioca a fare il maschiaccio ma che sa dosare sobrietà, autorevolezza e all'occorrenza sensibilità femminile; come, ironico al punto giusto, e ribelle senza esagerare, rende interessante la propria prova Toby Kebbel nel ruolo del semidio Agenore.

Ottima prova anche per Bill Nighy, nei panni di Efesto, che sa rendere l'autorevolezza di un dio ma acquisendo quella genuina umanità che gli altri dei non hanno, e riesce a dare una bella immagine di un dio caduto ma consapevole dei limiti umani ma soprattutto divini, rendendo omaggio al genio creativo dell'architetto degli dei.

Lo Zeus di Liam Neeson è meno patinato e paradossalmente più “divino” che pagano, più vicino a un dio cristiano, che manifesta un forte senso paterno di amore per i figli, che chiede perdono e fa ammenda per le proprie mancanze e limiti, senza risultare stucchevole. Certamente molto lontano dalla natura dello Zeus mitologico, ma riesce a comunicare un messaggio nonostante tutto sempre attuale.

Anche Sam Worthington riesce a dare una nuova e migliore immagine di Perseo, meno soldato marine, non gioca a fare il supereroe ma entra nella parte e si muove con credibilità riuscendo a ben gestire il ruolo di semidio che per amore del padre e del proprio figlio lotta con la speranza di riportare la pace nella propria terra.

C'è però qualche scena che non convince: la battaglia finale è eccessivamente ricca di perplessità, dai Makhai che si lanciano contro l'esercito di Argo (ma chi potrebbe mai vedersi decimare tra un gruppo di demoni dal corpo doppio e semplici uomini con lance, scudi e frecce?) a Zeus e Ade che riunite le forze e gli intenti lottano contro Crono, sembrando più due vecchietti che giocano a bowling contro un gigantesco birillo di fuoco piantato a terra.

A parte questo, la straordinarietà degli effetti speciali in cui la WB risulta come è facile aspettarsi, di altissimo livello; con grandiosi effetti speciali, fotografia e creazione di immaginari fantastici, la Warner riesce, nonostante qualche pecca dello script a rendere la maestosità del genio umano nella costruzione di quell'architettura storica come i templi dedicati agli dei (anche se trovare, presumibilmente, ad Argo l'Acropoli di Atene con tanto di Eretteo e Cariatidi lascia un po' interdetti) e il genio divino di Efesto nella realizzazione del suo antro-rifugio sull'isola di Kail, la parte probabilmente più riuscita tra tutti gli scenari, con lo straordinario quanto iperingegneristico labirinto che porta al regno del Tartaro. Rispetto a due anni fa, l'uso del 3D riesce a essere un valore complessivamente aggiunto alla già magnificente tecnologia WB, nei paesaggi naturali e mitologici e se anche rende in modo convincente le creature digitali come la Chimera, i Ciclopi, e i Makhai, resta ancora irrimediabilmente inefficace per non dire inutile per le scene tra uomini (e dei).

Senza ridondanza, arrivano infine dei messaggi universali piacevoli da trovare anche in film di svago: oltre al già trattato amore incondizionato tra padri e figli che lotterebbero per amore a costo della propria vita, la frase forse più bella di tutte è sul genere umano, ed è Andromeda, nel momento in cui supplica Efesto di aiutarli nella difficile corsa contro il tempo, a pronunciarla: gli uomini nella loro umana imperfezione sperano anche quando è difficile sperare e credono anche quando sembra non ci sia più niente in cui credere. Parole che poco dopo verranno, in un certo senso, rafforzate da Ade che, rivolgendosi al fratello, riflette sull'oblio, e il nulla, che tristemente accolgono la morte di un dio, a differenza degli uomini, la cui anima trova pace nel riposo eterno.

Un'altra battuta degna di nota è un consiglio che Efesto dà a Perseo, Andromeda e Agenore prima di entrare nel labirinto del Tartaro, suggerimento molto valido anche per un comune mortale: la mente è la più grande delle trappole, è lì che i tre dovranno controllare le proprie paure.

La Furia dei Titani, in conclusione, non è certamente un film da Oscar ma può considerarsi un prodotto dignitoso e piuttosto onesto, a dimostrazione che chi tiene a produrre bei film, facendo tesoro delle critiche ricevute, è in grado di lavorare a migliorare la qualità per l'apprezzamento da parte del pubblico che, con le battute finali del film, uscirà dalla sala con il dubbio che possa esserci un terzo titanico episodio.