Wakanda nei secoli. Chi conosce l'immaginario stato del Wakanda sa che è da sempre un punto fermo nell'universo Marvel. La versione che venne introdotta in Captain America: Civil War non è molto diversa da quella immaginata da Stan Lee e Jack Kirby al di fuori di ogni stereotipo, presentata per la prima volta in Fantastic Four 52 nel 1966.

Nei due universi, fumettistico e cinematografico il Wakanda è uno stato centrafricano, con una cultura e una storia millenaria, che si è sottratto al retaggio coloniale con le sue risorse naturali, tra le quali spicca il Vibranio, ossia un metallo (immaginario anch'esso) capace di assorbire l'energia cinetica e le onde sonore. Grazie al suo auto-isolamento dal mondo esterno e alle sue risorse, il Wakanda, il cui nome è vagamente ispirato alla tribù Wacamba del Kenya, è uno degli stati più ricchi e avanzati non solo dell'Africa, ma dell'intero pianeta. Un sogno di emancipazione per il terzo mondo che è tuttora una utopia, visto che nel mondo reale molti stati africani che hanno raggiunto l'indipendenza sono sotto l'influenza economica delle potenze straniere.

A guidarlo e difenderlo c'è il suo monarca, che indossando il manto e il costume della Pantera nera, lo difende dalle mire dei suoi nemici, golosi del prezioso metallo, che nel MCU è il solo usato per lo scudo di Capitan America, a differenza dei fumetti in cui lo scudo è composto di Vibranio e Adamantio.
Ma Eyes of Wakanda, miniserie animata di quattro episodi, diretta da Todd Harris, che ne è anche l’executive producer, regista, produttore e storyboard artist, non parla se non tangenzialmente di Pantera Nera o Black Panther, come ormai siamo abituati a chiamare il personaggio.

La miniserie antologica racconta le vicende di alcuni inviati wakandiani mondo esterno, testimoni di eventi che coprono un arco temporale che va dagli dela guerra di Troia e decenni successivi, alla battaglia di Adua del 1896, nella quale l'esercito coloniale italiano su sconfitto dagli abissini, passando anche per la Cina tardo medievale.
In ciascuno dei quattro episodi l'inviato, o inviata, del Wakanda ha una missione che rispecchia la necessità del Wakanda di non essere conosciuto, impedendo che la propria avanzata tecnologia rimanga nel mondo esterno. Ma gli inviati, War Dogs in inglese, Hatut Zaraze in wakandiano, non sono immuni dall'intrecciare rapporti con le persone con cui hanno a che fare, trovandosi pertanto nel dilemma di chi deve scegliere tra la lealtà al Wakanda rispetto a quella dei propri compagni di avventura nel mondo esterno.

Se l'imperativo "il Wakanda prima di tutto" è facile da osservare nei propri confini, al di fuori tutto diventa sfumato, e le decisioni difficili, perché a volte, come nell'episodio finale, ci si deve affidare a un istinto che consigli per un bene ancora più superiore.
Come già preannunciano anche i poster, c'è un intreccio con il Marvel Cinematic Universe, con la sua mitologia di fondo, ma la miniserie è godibile da sola, anche se il finale renderà chiaro come si collegherà a Black Panther di Ryan Coogler, che qui è anche uno dei produttori.
Ben diretta, ben scritta e con un ottimo livello delle animazioni, Eyes of Wakanda sposta i riflettori su chi vive nell'ombra e non verrà ricordato in canti epici o resoconti delle missioni, segrete e da non divulgare, ma non è meno determinante non solo per il proprio paese, ma per un intero universo.
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