Scrivere la recensione del settimo libro della saga di Harry Potter fa un po’ tremare i polsi, sia perché il libro si porta dietro le aspettative di milioni di lettori di tutte le età, ed è impensabile che soddisfi tutti, sia perché - ammettiamolo - siamo alla fine di un’epoca. Certo, ci aspettano altre due incarnazioni cinematografiche, ma escludendo eventuali enciclopedie o simili, le avventure di Harry si concludono qui, dieci anni e sette libri dopo il loro inizio.

Prima di continuare, una piccola precisazione: questa recensione non contiene spoiler particolari, solo alcune indicazioni volutamente generiche (che alcune scene si svolgano a Howgarts non stupisce nessuno, vero?). Questo perché parlare in dettaglio dei pregi e delle mancanze del romanzo significa obbligatoriamente rivelare molti dettagli della trama, e visto che c’è ancora chi preferisce leggere da solo i propri libri noi preferiamo tenerci su un discorso generale.

Harry Potter and the Deathly Hallows è un libro ben scritto ma non privo di difetti e limiti, sicuramente il sincero tentativo di chiudere al meglio il lungo racconto fantastico e di crescita che ci accompagna da tanto tempo. L'infanzia di Harry è ormai lontana, e anche se molti dei nomi e dei volti che ruotano attorno al ragazzo sono gli stessi dei primi libri a questo punto è rimasto ben poco dell’atmosfera della Pietra Filosofale o anche della Camera dei Segreti. Howgarts è sempre “casa” per Harry ma è stata violata e, se anche nel migliore dei casi potrà essere riconquistata, sicuramente non può più essere il rifugio sicuro contro le brutture del mondo esterno. Le cifre di questa storia sono la morte, la rinascita, la capacità di sopravvivenza e la fedeltà degli affetti quando tutto il resto crolla.

Già nel Il Calice di Fuoco l'autrice aveva tolto i guanti e iniziato a giocare sul serio, ma se in quel caso eravamo di fronte alla morte di un personaggio minore e al ritorno di Voldemort, stavolta è la stessa società dei maghi a tremare dalle fondamenta, e sono vecchi amici a lasciarci. La guerra infuria, sia di fronte a noi lettori che fuori scena, suggerita da eventi che ci vengono accennati con poche pennellate e, proprio per questo, molto più impressionanti di lunghe descrizioni o dialoghi.

Vediamo in dettaglio, partendo dalle critiche: il vero, serio, problema del romanzo è la discontinuità di ritmo. Si può concordare o meno con il destino che J.K. Rowling accorda alle sue creature, ma si tratta di preferenze personali. Nel caso del ritmo narrativo, invece, il problema è oggettivo e reale: leggendo le seicento e più pagine non si può non notare un'alternanza tra (lunghe) parti al limite del ripetitivo, spesso un po' didascaliche e dispersive, e brani più efficaci e calzanti che si adattano a situazioni e personaggi come un guanto. Il risultato è che si ha l'impressione di avere davanti un collage di opere diverse.

E' una sensazione comune a opere scritte in un lungo lasso di tempo e rimaneggiate in più occasioni, perché quando alcuni brani sono rivisti e corretti a distanza di tempo e poi reinseriti nel resto del contesto è inevitabile che il risultato non comunichi la sensazione di un unico lavoro continuo. Che sia successo questo o meno, è indubbio che il continuo alternarsi di situazioni riuscite con altre ben poco valide è una pecca da cui Deathly Hallows non può prescindere. Per esempio rimane, perfetto, il senso della sorte avversa imminente che può colpire chiunque inaspettatamente ma, sorprendentemente, a volte si perde il senso di minaccia proprio attorno alla figura di Harry, disperso in troppe pagine di riflessioni o eventi minori. Una pecca non irrilevante visto che questa è la fine dei giochi: la strada compiuta finora ci porta, assieme ai protagonisti, ad una risoluzione che non può e non deve essere annacquata da una certa dispersività di fondo che sembra pervadere un po' tutto.

Detto ciò, i pregi non sono pochi: il romanzo abbonda di brani e situazioni non straordinari ma comunque validi. Situazioni efficaci in cui, come un buon artigiano sa come usare i suoi strumenti al meglio, l'autrice sa risolvere le situazioni lasciate in sospeso in scene funzionali alla risoluzione della guerra o allo sviluppo dei personaggi. Sono buoni i tanti rimandi ai libri precedenti, i momenti in cui cose o persone ritornano, almeno nella memoria di Harry, acquistando nuovo spessore o giustificazione. Tutte le parti che si svolgono ad Howgarts sono particolarmente riuscite, con punte di grande valore. Ben gestita anche l'evoluzione di tanti personaggi secondari o minori, ma così tanti sulla scena. Un coro impegnativo che la Rowling orchestra con abilità, mostrandoci l'evoluzione di vecchi amici e nemici come Neville o Lucius e Draco Malfoy.

Infine ci sono - rari - alcuni momenti eccezionali. Pochi, ma quei pochi sono commoventi per bellezza e semplicità. Ci sono alcuni dei lunghi monologhi che si svolgono nella mente di Harry e danno al personaggio una gravitas e una maturità nuove. C'è una passeggiata nella notte che diventa una sorta di splendida e tragica veglia funebre, un momento perfetto. C'è il dolore, attonito o urlato, per alcune perdite irreversibili. Ci sono, infine, quelle piccole, brevi frasi tipiche dello stile dell'autrice che balzano dalla bocca dei protagonisti e dicono più di dieci pagine, ricordandoci che quando J.K. Rowling ci si mette sa affascinare.

Nonostante i suoi limiti e grazie ai suoi pregi, Deathly Hallows rimane un saluto non banale per la lunga avventura che ha accompagnato milioni di lettori più o meno giovani. Al di là del successo mediatico, della pubblicità e dei gadget nati attorno a Harry Potter, rimane il fatto che nell'epoca della playstation in cui "i ragazzi non leggono più", per citare tante cassandre, l'universo di J.K. Rowling ci ha mostrato un mondo di avventure, sentimenti, onore, perdita e rinascita da cui ci separiamo malvolentieri.

Meno male che è sempre lì, sulla pagina, per future visite.

NdR: Questo libro è stato recensito prima della sua traduzione in italiano con il titolo Harry Potter e i doni della morte.