Approfittando delle imminenti feste di Natale, la Salani pubblica L’alfabeto dei sogni, l’ultimo libro di Susan Fletcher, successivo alla trilogia Dragon Chronicles e al romanzo Shadow Spinner. Con Alphabet of Dreams si è aggiudicata numerosi premi tra i quali l’“American Library Association Best Books for Young Adults”. Ambientato nella Persia di duemila anni fa, narra le avventure di due fratelli che, sfuggiti alla persecuzione di un tiranno colpevole di aver sterminato la loro nobile famiglia, vivono di accattonaggio. Finché, il più piccolo dei due, Babak, non comincia ad avere sogni profetici, e la sorella maggiore, Mitra, obbligata a travestirsi da maschio, affronta i turbamenti dell’adolescenza. Grazie al dono profetico del bambino, conosceranno Melchiorre e si accoderanno, così, alla famosa visitazione dei tre re magi. Il romanzo è ascritto al genere del fantasy storico, e gode di un incontestabile successo di critica e pubblico.

Bisogna ammettere che la Fletcher è stata puntuale nel meritarsi questi riconoscimenti. È difficile trovare una storia migliore in cui cimentarsi. La storia marinaresca di Ulisse e del suo ritorno a casa, e quella di Gesù e del suo sacrificio sono pur sempre le due metafore fondamentali, quindi le due storie, al fascino delle quali non è umanamente possibile rimanere indifferenti.

L’episodio della visitazione è, inoltre, fra i più magici e commoventi di tutto il racconto biblico, non a caso divenuto, nei secoli, oggetto di una devozione sentitamente popolare. Alla nascita nella stalla, che affonda le sue radici in molti e più antichi esordi di eroi cultuali, all’annuncio sospeso nei segreti messaggi astrologici, tipica delle storie messianiche, si aggiunge il particolare di queste tre figure insolite e misteriose. Figure di maghi, di astrologi, di re che uniscono remotissimi orienti all’incipiente avvento dell’occidente moderno.

Su di loro fantasticheranno molte generazioni di curiosi e avventurieri. come Marco Polo che seguirà le loro tracce fra Iran e India. In fondo la storia dei magi è una storia di viaggio nata in appendice a una versione misterica del Romanzo di Alessandro. A questa preziosa mistura di magia, devozione e avventura la Fletcher aggiunge due personaggi deliziosi. Un bambino che sogna i sogni degli altri, rischiando di morire a causa loro (Baldassare lo avvertirà saggiamente che è più salutare limitarsi ai propri, di sogni), e una bambina che diventa donna. L’Alfabeto dei sogni è un libro di successo in virtù di questi elementi, i quali, però, nel loro insieme non ne fanno anche un bel libro.               

Interrogarsi su quali ingredienti partecipano a formare un libro è uno dei divertimenti maggiori della critica di ogni tempo. Ha fatto parte delle utopie universalistiche del Rinascimento cercare di capire come assemblare Tiziano, Michelangelo e Leonardo per formare il pittore perfetto. Era il sogno di Ludovico Dolce, uno che scriveva “libri totali” plagiando tutti gli scrittori del mondo. Aveva un gran mestiere Dolce, e godeva di un notevole successo, ai suoi tempi. Ora ci è noto solo per aver genialmente cambiato il titolo del capolavoro dantesco aggiungendo a Commedia l’aggettivo Divina.

Insomma, ci è noto come titolista. Il post-moderno viene solo per ultimo con le sue esigenze, meno universali che globali, più commerciali che utopiche, a tagliare e cucire testi alla ricerca del successo. In virtù di questo piacere vogliamo interrogarci su cosa renda L’alfabeto dei sogni un libro di successo, certamente una lettura piacevole, sicuramente un romanzo né bello, né fantastico. Cosa è mancato? Prima di tutto la scrittura. Quando ci si addentra in deserti di sabbia e sale; quando ci si perde negli abbagli del sole e nei miraggi; quando il calore è tale da produrre visioni; quando alla realtà si mischia il sogno di un bambino veggente; quando il mito si smarrisce nella realtà e la realtà perde di peso, ci si mette in brutti guai. Bisogna avere una lingua adatta a comunicare la tormentosa gravità di certe emozioni non solo dell’anima, ma anche del corpo. La scrittura della Fletcher, invece, è priva di emozioni, priva di visioni e corpo. È corretta, leggera. È perfino logica.

Essere logici su un materia del genere è come allevare leoni nella speranza che badino alla vostre pecore. Una materia del genere impone una densità che rasenta il silenzio. La Fletcher, invece, dice sempre qualcosa su tutto, con precisione, con esattezza, con aria bonariamente pulita. Entra nella psicologia di ogni personaggio, operazione nella quale indugiano chi, di solito, manca di psicologia. Specie se i personaggi in questione sono dei miti. Manca, a compensare la scarsa qualità letteraria, una vera vivacità narrativa. Mancano le invenzioni, le sorprese, i rallentamenti e i colpi di scena che capita di incontrare nella vita e che è obbligatorio vivere sulle pagine di un libro di avventure.

Concludendo, cosa ne fa la Fletcher di questa materia fantastica e impervia? Un viaggio con guida turistica intrapreso con faticoso scrupolo, senza saltare una tappa, sognando moderatamente una pittoresca storia di altri tempi. Cosa gli rimproveriamo? La mancanza di qualità letteraria e di

invenzione narrativa. L’Alfabeto dei sogni è un libro corretto, senza un errore e una sbavatura, senza la minima incoerenza. È un gioiellino. Eppure ci riserviamo di pensare che se un libro

pieno di lacune e incoerenza (metti il classico Dostoevskij o un

intricato e folle Lovercraft), libri incompleti e non finiti (come

Potocki, Bulgakov, Kafka) sono capolavori in virtù della loro intensità emotiva e della loro lingua, il libro della Fletcher è l’esatto contrario di un capolavoro.  

La morale: mescolare buoni elementi, come avrebbe fatto Ludovico Dolce, porta al successo, ma a lungo andare fa di te solo un titolista. La cosa più bella dell’Alfabeto dei sogni è il titolo.