L'avevamo scritto per scherzo, nel pesce d'aprile di quest'anno (/notizie/9953/), ma come al solito la realtà supera la fantasia...

E allora ecco che, davvero, Stephenie Meyer, celeberrima autrice della saga di Twilight, si becca una causa per plagio di un'opera apparsa su Internet.

A dire la verità al momento c'è solo una vertenza, visto che nessun giudice è stato ancora interpellato e l'editore della Meyer ha ricevuto semplicemente la solita lettera di diffida che può preludere a una causa in tribunale (e che probabilmente ci andrà, dati gli interessi in gioco).

E' la sconosciuta autrice Jordan Scott ad accusare la più famosa collega di averle rubato il plot, asserendo che il quarto libro della saga, Breaking Dawn (uscito nel 2008)  è simile alla propria opera dal titolo The Nocturne, pubblicata su Internet nel 2006.

Vengono contestate ad esempio, una scena di sesso dopo un matrimonio, il personaggio di una donna, incinta di un bambino dai poteri malefici e una scena in cui la moglie di uno dei personaggi principali muore.

A chi obietta, giustamente, che scene come queste se ne trovano ovunque, a mazzi di due centesimi al chilo, la Scott oppone che la Meyer si sarebbe spinta persino a riprendere intere frasi dalla sua opera: ad esempio, mette a confronto, nella scena di sesso sopramenzionata, la propria  frase

"There was silence. It could have been no more perfect" (C'era silenzio. Non avrebbe potuto essere più perfetto), laddove la Meyer scrive invece "The moment was so perfect, there was no way to doubt it" (Il momento era così perfetto che non c'era modo di dubitarne).

Se vi sembra che la puntualizzazione sintattica di cui sopra non aggiunga un millimetro alle pretese della Scott, a parte incrementare il ridicolo, non possiamo che dire che siamo perfettamente d'accordo.

Resta solo un dubbio: se il proliferare di cause ai danni di scrittori famosi - anche J.K. Rowling sta fronteggiando proprio in questo periodo una situazione simile (/notizie/10537/) sia dovuta a malafede (come fu accertato per la Rowling nel caso Stouffer) o a semplice ignoranza su cosa costituisca un plagio.

Da quello che si legge sia in questa contestazione che in quella recentemente mossa alla Rowling, sembrerebbe emergere che chi le muove pensa che il diritto d'autore protegga le idee e non la forma espressiva che le veicola. E che lo ignorino altri scrittori in cerca di notorietà può anche essere comprensibile e, fino a un certo, punto scusabile. Quello che non lo è sono le schiere di avvocati che queste sottigliezze dovrebbero spiegarle ai propri clienti, per non rischiare di imbarcarli in liti temerarie.

L'impressione è che invece i legali americani abbiano ormai l'atto di citazione facile, contribuendo così ad alimentare l'ego di persone che, semmai, avrebbero bisogno di sgonfiarlo un po'.