Che a volte la vita sia “una specie di partita a scacchi” è stato affermato parecchio tempo fa dallo scienziato e uomo politico americano Benjamin Franklin. E proprio su una scacchiera la scrittrice di Prato Miki Monticelli ha scelto di ambientare il suo nuovo romanzo, nel quale tre ragazzi devono impegnarsi per giocare la partita più importante della loro vita.

 

L’invenzione di un luogo con lo specifico scopo di costituire il teatro dello scontro fra le forze della Luce e quelle dell’Oscurità ha precedenti illustri, rintracciabili già nei secoli passati quale elemento fondamentale di alcuni culti dualistici. Ma mentre gli iranici Ohrmazd e Ahriman, per esempio, creano il nostro mondo con l’intenzione di usarlo come campo di battaglia del loro conflitto lungo novemila anni la Monticelli, ribaltando l’atto primigenio, spinge un Re degli Uomini e uno Spirito Errante a creare La scacchiera nera per ambientarvi la nona guerra.

Lo scopo della creazione in questo caso diviene la protezione del mondo degli uomini, già devastato dalle otto Guerre Antiche.

Nella struttura del romanzo però gli scacchi, con tutte le suggestioni a loro legate, forniscono poco più del punto di partenza. È grazie a loro che, come con il famoso binario nove e tre quarti, è possibile passare dalla nostra realtà a un’altra, ignota alla maggior parte della gente. Ma a differenza di Harry Potter e dei suoi amici Ryan, Milla e Morten compiono il viaggio in maniera del tutto involontaria, e non hanno la possibilità di tornare indietro a loro piacimento. Se vogliono lasciare la scacchiera devono giocare, anche se le regole sono tutte da scoprire.

 

Costruita la premessa necessaria a far muovere i protagonisti in un mondo che non conoscono, la Monticelli dà l’avvio alla storia.

 

Come ci ricorda David Eddings nel suo Il codice rivano “un eroe tonto” – o, come in questo caso, uno che non conosce le regole del luogo in cui si trova – “è l’eroe perfetto, perché non ha la più pallida idea di ciò che sta succedendo e, nello spiegare le cose a lui, lo scrittore lo spiega ai lettori.”

La scelta dell’autrice si rivela azzeccata. Mentre la presenza di una guida che sa ma che non vuole rivelare avrebbe potuto dare l’impressione di un mistero costruito artificialmente, solo per mantenere la suspance, il percorso intrapreso da Ryan e compagni, illuminato a volte da spiegazioni esterne ma più spesso da scoperte improvvise, risulta coerente e coinvolgente. Le avventure dei personaggi hanno tutte una loro spiegazione logica, e le difficoltà contribuiscono a formare un cammino di crescita necessario non solo a risolvere la trama ma a far maturare i personaggi stessi.

 

Il fatto che siano ragazzi del nostro mondo poi dona un’atmosfera frizzante e irriverente a tutto il romanzo.

Non si contano le citazioni e le strizzatine d’occhio al lettore, con battute che spaziano dai Bronzi di Riace a James Bond passando per Mary Poppins con la sua fenomenale borsa perché Ryan, la voce narrante, pur se pieno di dubbi sulla situazione in cui si trova e in particolare sul ruolo di Milla, non può scordare la propria identità nel “mondo reale” e il proprio substrato culturale. Al punto da riconoscere perfettamente i tòpoi di un genere letterario nel quale si è involontariamente venuto a trovare, e di ritrovarsi a pensare all’improbabilità della situazione.

Il suo “Rieccoci, profezie mezze dimenticata, leggende ammuffite e fraintese e cos’altro?” dimostra l’estrema consapevolezza della Monticelli nel maneggiare una materia che conosce bene e che, trattata con il tono sbagliato, rischierebbe di cadere nella trita ripetitività. Perché se nel fantasy alcuni elementi quali appunto le profezie sono decisamente frequenti e spesso fondamentali, il loro utilizzo nel modo sbagliato fa sfociare inevitabilmente la storia nella prevedibilità e nella noia.

Invece, fra citazioni esplicite di Gandalf e suggestioni che richiamano alla mente il viaggio di Atreiu ne La storia infinita o la mappa del malandrino creata da J.K. Rowling, ci si ritrova improvvisamente a sorridere leggendo di un novello Robin Hood pronto ad assecondare le richieste che riceve.

Un tono scanzonato quindi, che rende la lettura piacevole senza distrarre dalla storia e che consente alle vicende di susseguirsi con un buon ritmo e senza momenti morti.

 

La parziale identificazione dei ragazzi con i personaggi che – loro malgrado – si trovano a impersonare consente da un lato di fare almeno in parte luce sulla storia passata del mondo della scacchiera e dall’altra di mantenere incertezza sul loro reale ruolo.

Pezzi mossi da una volontà esterna più forte della loro, o creature reali dotate di sentimenti e padrone del proprio destino? Il dubbio è particolarmente forte con Milla, che forse non è così cattiva come il pezzo che impersona le vorrebbe imporre, ma alla cui presenza è impossibile rimanere tranquilli. Ed è interessante rilevare, come nota lo stesso Ryan, che una sua immedesimazione nel Ladro Nero sarebbe stata molto più ovvia e “facile” se si pensa ai rispettivi contesti familiari di provenienza.

La scelta dei ruoli interpretati dai due ragazzi, al contrario, evidenzia la presenza di più sfaccettature nella loro personalità, e impone di non etichettare nessuno troppo in fretta.

 

Fra le invenzioni che lasciano qualche dubbio sulla solidità della struttura stessa del romanzo va segnalato l’utilizzo di una scacchiera ottagonale al posto del classico quadrato con otto caselle per lato, e di conseguenza di pezzi che si muovono secondo regole che non conosciamo. Se è vero che un oggetto insolito può aggiungere fascino alla storia, e certo è in grado di catturare l’attenzione dei protagonisti nelle prime pagine, d’altra parte può anche far pensare a una soluzione di comodo per consentire all’autrice ogni tipo di soluzione.

Il rischio – presente ma per il momento evitato – è quello di creare pezzi che si muovano non secondo la loro intrinseca natura, ma che cambino comportamento a seconda delle necessità narrative del momento, trasformandosi in deus ex machina della situazione.

 

Il finale è aperto. L’avventura per il momento è terminata, ma la guerra non è finita. E se i personaggi non possono sapere cosa gli riserverà il futuro, i lettori possono sperare in un altro volume brillante e divertente. Perché se La scacchiera nera, con alcuni elementi non perfettamente risolti, in particolare nel legame fra il mondo fantastico e il nostro, e una trama di ricerca abbastanza lineare, non diventerà mai uno dei romanzi fondamentali del genere, è comunque capace di far trascorrere alcune ore in modo piacevole e rilassante.

Lettura adatta a lettori giovani, ma anche a chi voglia semplicemente tuffarsi in un mondo incantato per sognare un po’, lontano da saghe che a volte sembrano infinite o che richiedono un impegno nella lettura che non sempre è possibile donare.