Nel ringraziarla di essere nuovamente nostro ospite le chiedo, perché a suo giudizio, tutt'oggi non si esce dagli stereotipi sulla sessualità di Oscar Wilde? Hanno veramente importanza sul giudizio letterario le sue curiosità sessuali?

Direi assolutamente di no. Le opere di Wilde- dal teatro alle fiabe passando per i racconti- offrono un’ampia rappresentazione dei sentimenti e delle emozioni umane, dove tuttavia la sfera dell’eros fa capolino con molta discrezione. Anche nella sua opera considerata più trasgressiva, Il ritratto di Dorian Gray, l’elemento della sensualità è reso con grande delicatezza. Oscar Wilde resta un cantore dell’amicizia e dell’affetto, non dell’eros, e tantomeno di un eros “etichettabile”. Le sue scelte, il suo vissuto affettivo, appartengono alla sua sfera più intima.

L'aspirazione al cattolicesimo in una terra anglicana, non potrebbe essere stato, almeno nel caso di Wilde, l'estremo tentativo di andare sempre controcorrente, di voler essere tutto e il contrario di tutto? Anglicano e realista nel suo rapporto con i compatrioti, degno figlio della borghesia protestante, e aspirante cattolico e patriota “verde” in terra d'albione?

Certamente lo stile di Oscar Wilde era quello di navigare controcorrente, di essere segno di contraddizione per la sua società. In questo caso le ostentate simpatie per il cattolicesimo, perfino per un papa “scomodo” e detestato sommamente in Inghilterra come Pio IX facevano parte del suo essere anticonformista, del voler sempre stupire. Così come il conservare un certo orgoglio della propria “irlandesità”. Tuttavia, se questo era una delle modalità con cui Oscar si divertiva a “giocare” con la società vittoriana, resta di fondo la sua ricerca di risposte di tipo spirituale all’inquietudine del vivere che lo accompagnò per tutta la sua breve esistenza.

Lei nel volume lo circonda di figure la cui massima aspirazione sembra essere convertirsi al cattolicesimo. In prospettiva storica, è mai possibile che l'Inghilterra anglicana e vittoriana, trionfo della ragione sullo spiritualismo, fosse popolata di milioni di aspiranti cattolici?

Nel mio libro ho documentato lo straordinario clima di tensione religiosa che c’era nell’entourage di Wilde: da Robbie Ross a John Gray (colui che gli ispirò la figura di Dorian) fino a suo figlio, furono davvero numerosi gli artisti che si convertirono al cattolicesimo. Questo fenomeno caratterizzò l’Inghilterra vittoriana, facendo seguito alla conversione di uno straordinario intellettuale, John Henry Newman, che fu all’origine di tantissime conversioni (come ad esempio la madre di John Ronald Tolkien) di persone dalla forte sensibilità. Molti furono gli artisti, gli intellettuali, che trovarono nel cattolicesimo- sull’esempio di Newman- una fede che rispondeva alle esigenze più profonde dei loro cuori, evidentemente insoddisfatte dallo scientismo e dal positivismo dominante nella cultura britannica.

Il suo osservatorio su scrittori fantastici coevi, può portare alla conclusione che il Fantasy nasca come tentativo di sfuggire alla secolarizzazione?

Il Fantasy nasce nell’800 proprio come risposta ad un mondo che sembra pretendere di avere soluzioni tecniche ad ogni problema, un mondo che inaridisce i sentimenti più profondi. Il Fantasy ci richiama alla dimensione di un “Altrove”, di valori profondi di cui la Modernità voleva sbarazzarsi. Sì: il Fantasy è un rimedio alla secolarizzazione, perché ci ricorda che- come direbbe Wilde- anche se nati nel fango siamo chiamati a cercare le stelle.

Il rapporto tra Wilde, gli scrittori irlandesi e anglosassoni, e i miti della loro terra. È noto che la Chiesa Cattolica si sia innestata su quanto costruito dai romani, i Vescovi presero il posto dei Prefetti Romani. Ma la sovrapposizione non fu solo politica. Il culto dei santi, sincretismo tra il monoteismo cattolico e il culto degli dei protettori dei romani. Le edicole votive derivano dalle aediculae. Tutto questo ne ha aiutato il radicamento nel territorio. Gli scrittori fantastici anglosassoni possono avere compiuto una operazione simile, innestando nella loro mitologia il messaggio e la morale cattolica, per meglio veicolarlo nella loro terra?

Tolkien diceva che Dio è il dio degli Angeli, degli uomini, degli elfi. Significa che il Mito trae significato da un Logos; il mito esprime la domanda che è nel cuore dell’uomo, il Logos è la risposta. La ricerca deve avvenire nella concretezza delle situazioni. Nel mondo latino ciò era avvenuto edificando sul terreno della civiltà romana, nel mondo celtico e germanico avvenne altrettanto. Basti vedere un poema come il Beowulf (tanto caro a Tolkien) che segna la transizione dal mondo pagano a quello cristiano. La Chiesa chiama questo processo “inculturazione”.

Il fallimento di Dorian Gray nei confronti della morte è metafora di una sfida al divino oltre che alla visione positivista vittoriana?

Credo che rappresenti un monito all’uomo della modernità: ci sono barriere, soglie- come quella della morte- che non possono essere infrante senza pagarne un prezzo. Come nel Frankestein di Mary Shelley. I sogni della ragione, ovvero certe utopie, come quella di eternarsi, di vincere la morte, generano mostri. Ma Dorian cade anche per un altro motivo: perché cerca di mettere a tacere la voce della sua coscienza, perché il ritratto era il fardello del suo male, un male che non poteva sopportare più.

Ha visto il recente adattamento cinematografico del “ritratto”? Cosa ne pensa?

Sì, l’ho visto con grande interesse. Personalmente avrei preferito una versione più fedele al testo di Wilde, non ho molto apprezzato l’invenzione di personaggi come la figlia di Lord Wotton e la stessa immagine che del Lord mentore di Dorian è stata data, che sembra quasi riabilitarlo, mentre nel romanzo di Wilde era un personaggio veramente luciferino, simbolo della corruzione di una certa società e di una certa visione del mondo. Per il resto è un film dall’ambientazione suggestiva che rende in modo efficace il mistero e l’orrore del male. Curioso che Dorian Gray sia uscito insieme all’ultima rivisitazione del mito di Sherlock Holmes; in effetti io nel mio libro illustro i legami di amicizia e le influenze che ci furono tra Oscar Wilde e Arthur Conan Doyle.

Le moderne figure popolari, portate alla ribalta dai salotti televisivi, hanno forse più visibiltà di quanto ne avesse in fondo Wilde sui coevi. In fondo non esisteva la comunicazione di massa. Il “popolo” lavorava per la rivoluzione industriale 18 ore al giorno. Quindi all'epoca la popolarità di Wilde era limitata essenzialmente agli strati più colti. È d'accordo con questa analisi?

Certamente sì, anche se Wilde era molto conosciuto attraverso giornali e riviste, anche umoristiche, come il celebre Punch, che portarono la fama di Oscar anche in America. L’uomo dal garofano verde ebbe una popolarità notevole per i mezzi d’allora, anche se i suoi lettori effettivamente appartenevano in buona parte a una popolazione borghese.

Pensa che esistano figure moderne che coniugano lo stesso suo carisma istrionico con la stimolazione culturale, che in questo caso avrebbe più impatto anche nei bassi strati della popolazione?

Credo di no: Oscar aveva una personalità poliedrica, eclettica, era – potremmo dire- più scrittori in uno. Era una maschera comica e tragica insieme, come quella di un clown, con la finezza e la profondità intellettuale di uno studioso di Oxford. Oscar è unico.

Nel ringraziarla per la disponibilità le chiedo su quali percorsi critici stia attualmente lavorando e le auguro buona prosecuzione.

Sto lavorando ancora sull’800 inglese, sui precursori del Fantasy da una parte e su un altro versante mi sto occupando di quella notevolissima figura cui accennavo in precedenza, Newman, sul quale sto ultimando una biografia.