"... Penso che, trasmutata, ella per l’ombra della notte svolazzi,

avvolte tutte di piume le sue vecchie membra;

[…] In ambi gli occhi le fulmina una duplice pupilla

e dai globi gemelli un fuoco avvampa."

[Ovidio - Amores]

Strynx. Strix. Striga. Strega. Ma anche Saga, Malefica, Venefica: quanti nomi per una singola soprannaturale entità. Tuttavia ciò dimostra come la strega sia una presenza costante in tradizioni e folklore europei dall’alba dei tempi.

Lo scopo del saggio Strix- La strega nella cultura romana, di Laura Cherubini, è mettere in luce come questa figura ancestrale venga percepita presso la cultura greco-romana, che a essa ha conferito nome e attributi ben precisi trasmessi in parte alla strega medioevale e a quella moderna.

Il libro è strutturato in due parti: nella prima si prendono in esame l’identità della strix, il suo essere creatura femminile specificamente notturna dalle terribili capacità, e la sua affinità all’Arpia, la donna uccello dell’immaginario fantastico antico che arriva a sconfinare nel mito.

Nella seconda, alle striges come entità quasi demoniache si sostituiscono alcune streghe romane (strigae) dalla realtà ontologica prettamente umana.

Questo consente di osservare le caratteristiche visibili della strega e individuarla come tale: le capacità mutaforma, i lineamenti bestiali, il suo essere liminare al mondo dei morti.

Cos’era la strega romana? L’equivalente greco strinx indica originariamente un tipo di gufo considerato uccello infausto, e il nome è prettamente onomatopeico.

La prima immagine offerta dall’autrice è appena un guizzo di ali nel buio e il grido stridente di un rapace, che vola fra scenari soprannaturali e dimensione umana: dal predatore assetato del sangue alla donna malvagia in cui esso può trasformarsi.

Nella concezione greco-romana, la strega non è buona e non è vittima, nasce malvagia ed è responsabile di crimini immondi, di corruzione, di violenze, di orrore.

Brutta, spesso grottesca, è temuta e combattuta, oggetto e soggetto di maledizioni terribili. L’immagine della strega emerge - dai frammenti di Ovidio, Plinio, Orazio, Petronio e tanti altri analizzati nel saggio - strettamente rapportata ai cinque sensi, ma in qualche modo invertita rispetto alle caratteristiche umane: lo stridio malefico che ferisce l’orecchio, il venefico tocco, il fetore che la accompagna (decomposizione, escrementi), la fame insaziabile di sangue e visceri, lo sguardo folle e malignamente acuto.

 Anche le attitudini della striga/strix rispecchiano una versione “rovesciata” di ciò che è umano in generale e femminile in particolare: le streghe sono versipelle, cioè possono trasformarsi in uccelli, cani, topi e persino mosche seguendo le loro capacità ingannatrici.

Attaccano di preferenza bambini per svuotarli di fluidi e organi vitali, lacerando corpo e viso con gli artigli. Hanno conoscenze al di là del normale utilizzate per malefici (con una loro penna in un filtro magico provocano passione o attentano alla virilità).

Sono creature notturne che torturano e uccidono durante i sacrifici e si nutrono con furore bestiale.

In sostanza, come sottolinea l’autrice nella prefazione, costituiscono una sorta d’immagine universalmente riconoscibile elaborata per spiegarsi eventi funesti, malattie mortali, morti infantili. Quindi, si può aggiungere, un archetipo di questo tipo non può che essere un concentrato di tutti gli orrori possibili.

Anche l’aspetto prettamente fisico della strega rispecchia un rovesciamento totale rispetto ai canoni appezzati nella donna romana: il pallore cadaverico che richiama al mondo dei morti, i piedi nudi e i capelli scarmigliati, i denti marci e neri, le unghie ricurve, la doppia pupilla. 

Il saggio ritorna più volte sugli stessi concetti e particolari - arrivando a sfiorare in alcuni punti la ripetitività - sicuramente per il desiderio da parte dell’autrice di eviscerarne i molti significati: questo rende la lettura gravosa per i non esperti in materia mentre è una manna per gli studiosi.

Il viaggio alla scoperta e identificazione della strega nella cultura classica, è condotto in questo saggio sul doppio filo dell’osservazione antropologica e dell’analisi filologica di ciò che i testi antichi riportano in proposito: si tratta di una di ricerca approfondita, supportata da un folto corredo di note e citazioni che offrono nell’insieme un quadro complesso ma affascinante.