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Un’altra cosa Chiara aveva scoperto subito: la sua mamma era stata bella e lei non lo era. Da sempre la bimba era accompagnata da un brusio continuo, sempre presente, già dai  primi mesi di vita, una specie di ronzio, un sottofondo costituito da parole, sempre le stesse: quanto sua madre fosse stata bella, bellissima, la più bella del reame, mentre lei, per carità, lei era una bimba sana e robusta, sempre una fortuna quando i bambini sono sani e robusti, ma alla sua splendida mamma proprio non somigliava. 

Una cagnolina in uno dei cortili scodellò un cesto di cuccioli. Le cuoche riuscirono a trovare a tutti una collocazione, ma i cagnolini furono etichettati come bastardi, termine dispregiativo che stava per senza razza. La stessa parola la pronunciavano i soldati. Quando erano sbronzi, quando nessuno li ascoltava, l’ultima birra spesso la dedicavano a Rankstrail, il re Bastardo degli Uomini. Lo dicevano con orgoglio, ma la parola era la stessa. Chiara sentiva la vergogna schiacciarla, una vergogna senza risoluzione perché non apparteneva al fare o all’aver fatto, ma all’essere. 

L’altra cosa, ancora più atroce, era sapere che era stata lei ad assassinare la sua mamma. E che il suo papà questo lo sapeva. Probabilmente era per questo che non le voleva bene. 

Avere ucciso la mamma le aveva veramente spezzato il cuore. Stava facendo i primi esperimenti sull’arte definitiva di camminare quando l’aveva scoperto. Lei era nel corridoio  davanti alla stanza della zia e la frase era stata pronunciata da una delle cuoche nelle cucine due piani più sotto. 

«...La bambina nascendo ha fatto morire la madre, per questo suo padre la odia...» aveva spiegato la cuoca grassa, quella che era anche simpatica e preparava i dolcetti al miele per il nipote venuto dalla campagna a portare i capponi per la festa della vendemmia. 

Chiara era scoppiata a piangere e non era riuscita a smettere. 

Erano stati due giorni di un piagnucolio straziante, che attirò ulteriormente su di lei l’attenzione di zia Fiamma, distraendola ancora di più dagli esasperati cugini. 

«...Nessuno ti vuole, e poi stai sempre a piangere...» 

«...Se piangi ancora un po’ci saranno due dita di acqua sul pavimento e verranno a viverci le rane...» 

Lei aveva resistito senza mangiare, senza bere, senza dormire. 

Zia Fiamma, sconvolta dall’angoscia, aveva convocato tutti i medici e le guaritrici. Il problema era stato risolto da una vecchietta della Cerchia Esterna con un decotto di camomilla e lauro, che le aveva fatto scolare in bocca mentre piangeva. 

Chiara era finalmente crollata, distrutta dal sonno e della stanchezza. 

Da allora zia Fiamma teneva quell’intruglio sempre a portata di mano. Tutte le volte in cui Chiara, dopo aver sentito la voce di qualcuno – due piani più sotto, un piano più sopra, due cortili più a sud, nel giardino a nord – parlare di come nascendo aveva ucciso la mamma, scoppiava nel suo pianto straziante e inarrestabile. Zia Fiamma e la balia accorrevano, stupite e addolorate per quel comportamento così insensato e lunatico. Sotto l’effetto della pozione Chiara crollava addormentata, in preda a sogni vividi e strani, dove vedeva colate e colate di un metallo morbido e argentato, mentre la nausea le riempiva la bocca. 

Aver scoperto di essere stata lei ad aver ucciso la propria mamma l’aveva talmente addolorata che anche il fatto di essere brutta era passato completamente in secondo piano e in secondo piano era rimasto. Con tutti i guai che c’erano, somigliare a un cigno o a uno scarafaggio non era veramente di nessuna importanza. La sua mamma era morta e a quanto pareva l’aveva ammazzata lei, anche se non aveva idea di come avesse fatto. Il fatto che era stata lei ad ammazzarla era terribile. Che non avesse nemmeno capito come fosse riuscita nella disastrosa impresa era ancora peggio. Magari, sempre senza volerlo, poteva uccidere altri, zia Fiamma forse, la balia, o uno dei cugini. Suo padre sicuramente stava lontano da lei per il timore che lei lo uccidesse, sempre senza farlo apposta, per carità, come era accaduto con la mamma. Forse aveva starnutito senza mettere la mano davanti. Probabilmente era per quello che zia Fiamma e la balia ci tenevano tanto alla mano davanti. 

Chiara iniziò a stare alla larga da tutti. Cominciò a divincolarsi come un’ossessa quando cercavano di prenderla in braccio, con crisi di pianto e stridii terrorizzati che costringevano a ricorrere al decotto. Quando zia Fiamma la sera vicino al camino raccontava una storia, lei si metteva sempre in fondo alla stanza, così da non stare vicino a nessuno. La mancanza di contatto con i corpi caldi degli zii la chiuse ancora di più in un mondo freddo e indecifrabile, pieno di nostalgia per il caldo e il tiepido cui da sola si era esiliata, così da evitare altre morti involontarie e altre incomprensibili colpe. Al brusio si aggiunsero altre parole: malata, folle, indemoniata.