Il potere del numero sei, di Pittacus Lore, riprende le vicende iniziate in Io sono il numero quattro, sempre dello stesso autore.

Si tratta di un universo che mescola elementi fantasy e fantascientifici. 

Il protagonista del primo romanzo era John Smith, che non è umano, ma in realtà alieno, scampato all'invasione del suo pianeta, dal nome Lorien da parte di un'altra razza aliena: i Mogadoriani. Gli abitanti di Lorien sono riusciti a spedire sulla Terra altri otto giovani abitanti, accompagnati ciascuno da un guerriero per proteggerlo.

Questo romanzo comincia poco tempo dopo le vicende del romanzo, e come si può intuire dal titolo, comincia a introdurre al lettore altri punti di vista, ossia quello della aliena numero sette!

Vi siete confusi? Quattro e Sei li abbiamo conosciuti nel primo romanzo, dopo che Uno, Due e Tre sono stati massacrati dai Mogadoriani, che si trovano nell'imbarazzate situazione di dovere uccidere i loro avversari in ordine progressivo. Chi sia numero sette, se avrete tempo da sprecare per questo romanzo, scopritelo da soli.

Se il primo romanzo era sufficientemente godibile, questo comincia malissimo. Almeno un paio di centinaio di pagine di nulla, di stiracchiate situazioni che fanno venire la voglia di buttarlo via. 

Dovendolo completare per dovere di recensione posso dire che verso il finale il ritmo migliora, quasi come fosse stato scritto da un'altra mano.

E infatti è proprio così, dato che Pittacus Lore sarebbe il nome di un testimone delle vicende, in pratica è lo pseudonimo di una coppia di autori: Jobie Hughes e James Frey.

Siamo davanti a un progetto nato in laboratorio, con il preciso intento di realizzare un "brand" vendibile in tutte le possibili forme mediatiche, che possa anche creare guadagni con indotto del merchandising. 

Non ho nulla in contrario a progetti simili, ma ne ho visti di migliori, questo è uno dei peggiori della specie.

Il  romanzo è complessivamente pessimo, pieno di buchi narrativi grandi come una casa, che non si possono giustificare solo pensando che sia parte di un ciclo, di dialoghi a volte sciatti, a tratti ridicoli e in molti casi ridondanti, visto che ribadiscono situazioni narrative già mostrate un paragrafo prima.

Credo che chi ha prodotto questo romanzo pensi che gli adolescenti siano per forza lettori disattenti e non interessati alla coerenza narrativa. 

Per quanto si possa pensare che un prodotto del genere nasca con lo scopo di fornire un divertimento puro e disimpegnato, è anche vero che intrattenimento non può essere sinonimo di sciatteria e approssimazione.

Quello che viene fuori a mescolare gli elementi senza cura è un prodotto che alla fine risulta mortalmente noioso.

Da cestinare senza rimpianti.