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Un furto necessario

Michele spinse la porta. Sapeva che lì dentro non c’era nessuno. A parte lui, la casa era deserta.

Papà era al bar, come al solito. La mamma era andata a prendere le uova alla cascina del nonno di Francesco. Non c'era da avere paura.

Entrò nella camera da letto dei suoi genitori. La serranda era abbassata; da fuori filtrava ben poco del sole di quel pomeriggio di metà luglio.

Fissò il grande mobile a cassettoni in fondo a sinistra. Lo raggiunse e si chinò. Aprì piano l'ultimo cassetto, cercando di non fare rumore. Il borsellino di pelle un po’ sdrucito era al solito posto, nell’angolo a destra.

Rimase a guardarlo per qualche secondo.

Gli tornò in mente ciò che aveva visto attraverso la vetrina della ferramenta della vecchia Lena. Sorrise al ricordo. È vero, anche Beba e Fabio ne avevano uno molto simile, ma il loro era decisamente più piccolo.

Quando li aveva portati a vederlo avevano scosso la testa.

- Secondo me non vola, – aveva detto Beba.

- Beba ha ragione. Peserà tre chili, non lo vedi? Come fa a volare?

Michele li aveva fissati. – Vedrete come volerà. Avete visto che ali?

- Non contano le ali. Ha il corpo troppo pesante. E poi la forma del muso non mi convince. – Fabio come al solito, nonostante la sua timidezza, sminuiva le cose che non gli appartenevano, usando quella voce da so-tutto-io.

– E invece volerà più alto e più lontano dei vostri, – aveva ribattuto Michele, guardando il modellino con occhi sognanti.

Far volare gli alianti alla spianata del Contrario era una specie di tradizione per i ragazzini di Vallascosa, e Michele era sicuro che con quel particolare modello avrebbe sbaragliato la concorrenza.

- Aspetta un momento. Vorrai mica dirmi che tuo papà te lo compra? – aveva chiesto a un certo punto Beba.

- Certo che me lo compra!

- Ti ha dato i soldi per comprarlo? Tuo padre? – aveva rincarato Fabio, sgranando gli occhi dietro le lenti.

Michele si era scostato dalla vetrina e li aveva guardati con aria di sfida.

- Sì, me lo compra, e domani quell’aereo sarà mio.

I due amici avevano sorriso con aria incredula.

Adesso la voce della coscienza gli diceva che stava facendo una cosa sbagliata. Stava quasi per richiudere il cassetto, ma gli venne il pensiero che qualcuno poteva già essere andato a comprare l’aereo. Magari proprio Beba, o Fabio, o quello sbruffone di Giangi. Doveva sbrigarsi.

Afferrò il borsellino e aprì la cerniera. Contò le banconote. Una da cinquantamila, tre da diecimila, quattro da cinquemila, tre da duemila e ben undici da mille lire.

L’aereo costava ventiduemila lire. I risparmi che aveva da parte non sarebbero bastati neppure per comprare le ali.

Sfilò dal mazzetto una banconota da diecimila, due da cinquemila e altre due da mille.

Mentre richiudeva la cerniera, rimetteva a posto il borsellino e spingeva in dentro il cassetto, la paura di essere scoperto aumentò.

Corse fuori e richiuse la porta.

Quando fu nella sua stanza gli prese una strana eccitazione. Non aveva mai fatto una cosa del genere. Correva il rischio di essere scoperto.

Forse no. Papà era quasi sempre brillo, se non ubriaco, e la mamma teneva una scorta di soldi nella sua borsa, e usava solo quelli.

Fissò le banconote colorate e spiegazzate, passandosele tra le dita. Il piano era semplice: avrebbe aspettato che la mamma rincasasse, poi sarebbe corso a comprare il suo aeroplano. Sperando che nessuno lo vedesse.

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