Adam Clay è un apicoltore dal misterioso passato. Da qualche mese ha preso in affitto il capanno dell’anziana signora Parker che si dimostra molto gentile con lui. Un giorno la donna riceve una telefonata da un call center che approfittandosi della sua buona fede le ruba tutti i soldi dal conto corrente, un modus operandi che viene utilizzato da una compagnia senza scrupoli, che fattura in tal modo milioni di dollari. Per vendicare la sua padrona di casa Clay si mette sulle tracce di Derek Danforth il ragazzo che gestisce questo sporco giro d’affari, lasciando una scia di cadaveri sulla propria strada. L’uomo infatti faceva parte di un corpo di combattenti chiamato Beekeeper, un élite di uomini e donne in grado di correggere i componenti nocivi della società, esattamente come fa un apicoltore nel suo alveare quando ci sono dei problemi. Per Clay, Danforth è il male da eliminare e ora che si è messo sulla sua strada neppure gli agganci altolocati del ragazzo lo possono tenere al sicuro.

David Ayer vanta un curriculum con buoni film d’azione come Fury e Birds Of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn, ma anche pellicole davvero brutte come il primo Suicide Squad e Bright. The Beekeeper diciamolo subito è un compitino che Ayer si è portato a casa limitandosi a leggere sullo script di The Beekeeper: “film con Jason Statham”. Praticamente tutto è affidato nelle mani del suo protagonista il cui nome basta al pubblico, com’era per Schwarzenegger e Stallone negli anni ’80, per andare in sala. La pigrizia si nota anche nella sceneggiatura firmata da Kurt Wimmer, uno che ha scritto però in passato roba come Sfera e Atto di Forza, ma che qui gioca tutta l’originalità disponibile con metafore di apicultori e api tanto per non tirare fuori la solita moglie morta o il cane ammazzato, e non sentendo il bisogno di scrivere neppure una riga di backstory su niente.

La caratteristica principale di The Beekeeper è insomma l’inserimento di un pilota automatico che lavora in ogni sua parte, compreso uno Statham già visto nei panni del giustiziere in mille occasioni, anche se comunque in grado di portare a casa il risultato. Ayer lo dirige senza particolari guizzi, affidandosi un po’ troppo spesso al montaggio anche nelle scene d’azione che dovrebbero essere il solo punto d’interesse di un film così. Ma nonostante il carisma innato neppure Statham sembra crederci troppo limitandosi a un’unica espressione granitica nonostante abbia dato prova di saper fare ben altro anche rimanendo nel campo dell’azione. Il possibile franchise di questi tempi si nega a qualcuno? Sì se si tratta di The Beekeeper in cui nessuno pare credere neppure quel tanto dal lasciare lo spiraglio per un sequel.