Torna R. A. Salvatore con una nuova avventura ambientata nel mondo di Corona, che ha fatto da palcoscenico alle due trilogie dedicate alla Saga del Demone.

Devo ammettere di aver acquistato questo libro di malavoglia. Avevo paura che fosse una specie di prequel della Saga del Demone e questo costituiva (per me) un forte deterrente.

Quando ho chiuso l’ultimo dei sette libri scritti da R. A. Salvatore sul mondo di Corona (prima e seconda trilogia del Demone, intramezzate dal volume unico Mortalis) ho pensato “Meno male che è finita!” Il modo fin troppo meticoloso in cui è condotta la narrazione e il ritmo incerto di alcune parti mi avevano dato l’impressione che in molti punti l’autore volesse allungare un brodo già di per sé poco gustoso. Immaginate quindi con quale stato d’animo mi sono avvicinato alla lettura de Il Bandito: “ho letto tutti i libri scritti da Salvatore… mi tocca anche questo”. Per fortuna questo mio pregiudizio è svanito sin dalle prime pagine.

Il Bandito prende in prestito dal Demone la sola ambientazione. I fatti si svolgono diversi anni prima dell’inizio della saga, in un periodo in cui la Chiesa Abellicana muove i suoi primi passi e cerca di prendere il posto del sanguinario culto samhaista. Il territorio è diviso in regni, ognuno dei quali è governato da un laird, costantemente in lotta tra loro per la supremazia e al contempo impegnati a difendersi dalle aggressioni dei powrie, una razza crudele di nani. Nel nord del paese i monaci utilizzano le pietre magiche per curare e per difendersi, mentre nel regno di Behr il popolo dalla pelle nera dei Jhesta Tu cerca nella meditazione e nelle arti marziali la via verso la conoscenza.

Su questo sfondo si muovono i protagonisti de Il Bandito. Dynard, un monaco inviato a sud per espandere il culto della Chiesa Abellicana, viene accolto dai Jhesta Tu, rimane affascinato dalla loro cultura e si innamora di una ragazza di quel popolo. Dopo anni di studio decide di ritornare al nord portandosi dietro sua moglie, SenWi, una splendida donna dalla pelle nera. Il loro figlio sarà il protagonista del libro.

In questo nuovo volume Salvatore affronta temi profondi e molto delicati, posti in sequenza l’uno dopo l’altro quasi a voler presentare una galleria dei pericoli a cui va incontro il cuore dell’uomo: il razzismo, lo scontro tra le religioni e i problemi legati alla diffusione di un culto a discapito di un altro, la brutalità e la violenza nella giustizia, l’ottusità di chi vede un nemico nei diversi. E lo fa stravolgendo uno dei principali canoni del fantasy, scegliendo un portatore di handicap come protagonista delle vicende narrate.

Già altri autori avevano scelto di discostarsi nelle loro opere dal tema classico del paladino o del prode cavaliere (basti pensare a Thomas Covenant, l’anti-eroe ammalato di lebbra creato da Donaldson o Raistlin, il mago di Weis e Hickman, la cui salute è compromessa dall’ambizione per il potere della magia). Salvatore compie tuttavia un passo avanti, scegliendo di attribuire al protagonista un handicap molto grave, che gli impedisce i movimenti, gli deforma il viso e lo rende quasi incapace di esprimersi con le parole e con i gesti.

Il Bandito è un libro che fa riflettere, dunque, e che riesce a presentarsi come innovativo, cosa particolarmente rara nel panorama del fantasy moderno. Non che il testo sia immune da lati negativi, il principale dei quali è sicuramente un eccesso di gumpismo da parte dell’autore, che raggiunge il suo apice nel presentare il Bandito come una specie di esagerato incrocio tra Robin Hood e Forrest Gump. Ma questo non riesce sicuramente a sminuire la bellezza dell’opera, che è capace di trascinare il lettore pagina dopo pagina.

Insomma, un libro che va letto tutto di un fiato.