Il film si apre con il primo piano della nascita di una farfalla, il cui bozzolo oscilla dalla corda di un ponte pericolante sospeso su un abisso. Sul ponte, due monaci tibetani si stanno affrontando in una spettacolare sfida di arti marziali. Il maestro e l'allievo, il protettore della sacra pergamena e il "seguente", l'erede. Scena sorprendente, il film inizia davvero sotto i migliori auspici. Tuttavia non siamo di fronte al nuovo La tigre e il dragone, sebbene la "leggiadria" del combattimento lo ricordi molto.

Il monaco, a partire da quell'atmosfera evocata dal film di Ang Lee, si sviluppa su toni molto più leggeri, mischiando la filosofia orientale all'umorismo proprio dei film d'azione americani. Il risultato è contrastante e interpretabile in mille modi. Ci sarà chi ne rimarrà positivamente impressionato e chi profondamente deluso. La verità sta nel mezzo. Siamo di fronte a una pellicola estiva, senza troppe pretese se non il puro intrattenimento; in questo gli obiettivi sono raggiunti in pieno: è un film godibile, cento minuti che passano in fretta tra qualche bella scena d'azione e qualche riuscito momento di umorismo. Niente di più e niente di meno. Nessun tentativo di lezione filosofica di alto livello; nessun tentativo di esasperazione delle scene di kung fu che il recente Matrix reloaded ci aveva fin troppo imposto; nessuna estremizzazione dell'azione o dell'umorismo. Il regista esordiente Paul Hunter, proveniente dal mondo dei videoclip (suoi alcuni video di Eminem e Jennifer Lopez), non mostra particolari doti, che certo non potevano essere evidenziate da questa sceneggiatura che segue in tutto e per tutto il plot classico dei film di questo genere.

Siamo nel ’43, in Tibet. La sacra pergamena è il prodigioso strumento di potere che i monaci custodiscono per impedire che finisca nelle mani sbagliate. I nazisti, sul modello dei film di Indiana Jones, cercano in ogni modo di entrarne in possesso, ma l’ultimo dei custodi riesce a fuggire allo sterminio del tempio. Lo ritroviamo sessant’anni dopo, non invecchiato di un giorno, negli Stati Uniti, ancora braccato dai vecchi nazisti. Le profezie gli indicano in Kar, uno stravagante borseggiatore sempre in mezzo ai guai, il nuovo erede da istruire e gravare del pesante fardello. Ma il giovane è un ribelle, abituato a vivere nei bassifondi, ed è quanto di più lontano da un monaco si possa immaginare. Niente sembra poterlo convincere del suo destino, fino a quando il gestore di un vecchio cinema giapponese d’essai, grazie ai cui film Kar ha appreso i rudimenti del kung fu, non viene brutalmente assassinato dagli stessi nazisti. Inizia così una collaborazione fatta di fughe e inseguimenti, di addestramenti e di amori, fino al fatidico scontro finale.

La contrapposizione delle due culture, l'oriente della filosofia e della saggezza, e l'America dei MacDonalds è il filo conduttore di tutta la storia. Azzeccata certamente la scelta degli attori: Chow Yun-Fat è bravissimo a interpretare il monaco, tranquillità/pacatezza/controllo/sottile ironia; Seann William Scott, ricco dell'esperienza di American Pie, è la giusta contrapposizione fatta di spontaneità/spavalderia/comicità.

Il film, alla fine, è un mix di citazioni, di scene già viste, di mancanza di originalità, ma anche di buona azione e comicità. Da notare due lati molto positivi e assolutamente inaspettati: la mancanza delle fasi ormai trite e ritrite dell’addestramento alla Karate kid, che in questo genere di film non mancano mai; la moderazione della quantità di combattimenti fini a se stessi, che avrebbero reso noioso il film, sottraendo minuti preziosi alla trama.