Se George Lucas, come ispirazione per quello che ormai viene chiamato comunemente episodio IV, scomodò La fortezza nascosta di Akira Kurosawa, permettete a me di scomodare, per l’episodio III, William Shakespeare: Molto rumore per nulla.

Togliendo a un film pathos, sorpresa, aspettativa, un soggetto che funzioni, dialoghi scintillanti, un minimo di talento da parte dei protagonisti e il gioco psicologico, è mia opinione che rimanga ben poco da vedere, proprio come avviene per La vendetta dei Sith; quanto agli effetti speciali, se consideriamo lo standard cui il cinema ci ha ormai abituati, siamo nella media, nulla che ci faccia sognare come avvenne con il primo – scusate se non riesco a chiamarlo quarto – film di tanti anni fa.

Il Consiglio dei Jedi
Il Consiglio dei Jedi

Lucas mostra tutti i difetti del suo cinema, che erano forse un tempo scusabili con la sua giovane età: i dialoghi sono al livello dei film anni ‘40 e ’50, farciti di frasi fatte e luoghi comuni da bastare per dieci pellicole, non una sola frase, sia essa capitale o marginale, che non possa essere prevista e anticipata (a meno che non si abbiano meno di sei anni e non si sia mai visto un film); è totalmente incapace di gestire qualsivoglia rapporto affettivo con maturità e indagine psicologica, le sue sceneggiature sono piene di incongruenze e buchi che la grandeur scenografica non riesce più a mascherare.

Il potenziale nelle sue mani era enorme e lo ha sprecato in maniera assurda, tant’è che il film cade proprio là dove era lecito attendersi una spiegazione plausibile, con il risultato che la “conversione” di Anakin Skywalker risulta frettolosa e inesplicabile.

Anakin Skywalker
Anakin Skywalker

Qualunque fosse lo scopo del regista, ha mancato clamorosamente il bersaglio e, se pure la pellicola avrà riscontri finanziari inimmaginabili, certo il regista ha distrutto un mito nei ricordi dei più maturi fan della serie.

Una delle caratteristiche del primo, indimenticabile Star Wars era, quantomeno per me e altri della mia generazione, il buonumore e l’allegria che riusciva a infondere negli spettatori, sentimenti che tutti gli episodi di questo prequel – La vendetta dei Sith in particolare – non sono riusciti a infondere.

Si potrà obiettare che la banalità dei dialoghi non è difetto nuovo, o che esistono fior di capolavori cinematografici leggendari, come a esempio Casablanca, che traggono la loro forza proprio da dialoghi improbabili e bislacchi, ai limiti dell’umorismo involontario: è incontestabile, però, che allora gli interpreti si chiamavano Bogart e Bergman, o Flynn e De Havilland, e non giovani quasi debuttanti forniti di poco più che buona volontà, e che è forse ingiusto storcere il naso di fronte al giovane Christensen, costretto a battersi contro un materiale mediocre più che contro il lato oscuro della forza.

Star Wars seppe scatenare una legione di epigoni e imitatori e sinceramente trovo difficile che la nuova trilogia – o prequel se proprio preferite – riesca a scatenare un meccanismo simile, sia pure la più volenterosa e scombinata produzione nostrana, come pure accadde trent’anni fa; così come dubito che la colonna sonora, più ridondante e invadente che mai (un altro degli insopportabili marchi di fabbrica di Lucas), conosca ancora i fasti di una stagione in chiave disco music.

Un ultimo appunto per il doppiaggio italiano, particolarmente pessimo, con toni e accenti da filodrammatica che speravamo dimenticati.

Bando alla malinconia e alle lacrime, perché anche i meno astuti si renderanno conto che niente è finito e che ci aspettano quantomeno dei corollari tra l’episodio tre e il quattro: abbiamo assistito alla presentazione di Chewbacca, quindi aspettiamoci serenamente, entro pochi anni, qualcosa che ci spieghi – se proprio ci teniamo – come e perché Han Solo entrò nella saga.

Andate pure a vedere La vendetta dei Sith, ma spegnete il cervello e non aspettatevi niente.