Regione delle Meteore. A.D. 1176

Lupo di Pietravecchia è stato un giovane nobile, che ha ambito alla Gloria dei Cavalieri, ritenendola pura. L’ha voluta profondamente, pronto persino a commettere… peccato, pur di averla. Purtroppo, l’ha ottenuta davvero.

Ha adornato i suoi abiti e le sue armi della Croce. Si è battuto in Terrasanta, Deus lo vult. E’ addirittura divenuto una sorta di leggenda vivente: quella del guerriero destinato a “rimanere sempre in piedi”. Dopo ogni scontro. Contro ogni nemico.

Tutto ciò è il passato. O meglio: ricordi inalienabili. Di guerre, e di tutto ciò che comportano. Morte. Vittime. Dubbi e domande. E qualche certezza sbagliata. Ferite mal rimarginate.

Lupo di Pietravecchia è ora un uomo. Vive da pseudo-anacoreta, nel suo eremo. Rifiuta di usare armi da taglio, anche se le forgia nella sua fucina. E tempra il suo spirito. Medita su ciò che ha appreso, per esperienza diretta o sui testi, di svariate culture, che ha letto. Per capire, un po’ di più.

Gli abitanti di Korekainé, il villaggio più vicino, lo temono e lo rispettano, incerti sulla natura delle sue insolite abitudini. Comprano, o barattano, gli oggetti di metallo che lui, lo straniero, produce.

Lo chiamano Magister, maestro. Ma preferiscono tenerlo a distanza.

E’ un equilibrio destinato a rompersi.

Georghios, il giovane decano di Korekainé viene ammazzato in modo brutale dopo aver scoperto qualcosa che lo ha sconvolto. Il tipo di ferite e una serie di segni magici tracciati attorno al cadavere inducono a pensare all’opera di una strega.

E’ solo la prima vittima. La seconda è Aymar, vecchio compagno d’armi di Lupo, capitato casualmente da quelle parti e subito assoldato dagli abitanti del villaggio per uccidere la strega.

Aymar era un veterano, solido e valente. Eppure, è crepato allo stesso modo del religioso. “Baciato” dalla strega.

Korekainé si rivolge al Magister. Chiede il suo aiuto.

Aymar era stato un amico di Lupo. O, quantomeno, qualcosa di simile – frutto del cameratismo.

Lupo interrompe il suo eremitaggio. Accetta di individuare alla strega. Anche perché, lui, alla possibilità che si tratti realmente dell’opera di una fattucchiera ci crede ben poco.

Inizia così un’indagine pericolosa, tra varie insidie, palesi o meno. Una vicenda che, prima di trovare risoluzione, chiederà ancora un grosso tributo di sangue.

Il Magister è insieme un romanzo storico, peraltro dall’insolita cornice, e un mistery. Un’opera prima valorizzata da un tratto sorprendentemente sicuro, professionale, calibrato. Sia nella conduzione della trama, sia nella gestione dei personaggi, degli sfondi, delle singole scene, dei dialoghi. Un “giallo” storico dove il thrilling è presente in più forme. Non ultima, l’atmosfera greve, di paura e sospetto, esasperata dalle credenze dell’epoca, ben ricreata da Salvini.

La struttura, ad ogni modo, è riconducibile ai canoni del cosidetto whodunit, con un ambiente circoscritto e personaggi dichiarati e definiti, calata però, come si diceva, in un originale scenario storico/geografico.

I “red herrings”, i falsi indizi, sono piazzati con cognizione e padronanza dei meccanismi narrativi del genere, e garantiscono una suspense sempre presente.

C’è di più. C’è un’impronta un po’… western, mi si passi il termine. Western italiano, più che americano. E di quello buono, per intenderci. Dialoghi e inquadrature. Montaggio. Vi si “respira” insomma una atmosfera quasi alla Sergio Leone, calata in tutt’altra epoca, ma con scenari e caratteristiche similari.

Korekainé è un piccolo villaggio, nato da una decina d’anni e fiorito grazie al fatto di trovarsi su una rotta di passaggio. E’ in pratica tagliato fuori dall’autorità di Bisanzio, sito com’è praticamente alla “frontiera” dell’impero. Insomma, la classica boom town da Far West.

Nel villaggio comanda Drjangic, l’eghemon. Padre (assieme a pochi altri, lo ha fondato) e padrone. Uomo scaltro, ma evidentemente non abbastanza da farsi una fortuna nei veri centri di potere. In compenso, parrebbe avere pochi scrupoli. Vi dice niente?

La milizia di Merkos. In teoria, uomini d’ordine al servizio dell’eghemon e dei notabili, rappresentanti dell’impero. In pratica, tagliagole. Raffazzonata feccia mercenaria, al soldo di Drjangic. Indovinato: lo sceriffo corrotto e i suoi aiutanti.

Rada, padrona della locanda, ma anche tenutaria delle “ragazze” che vi lavorano. Molto… saloon.

Ci sarebbero poi il religioso fuori senno, la “brava gente”, i codardi e altre figure. Soprattutto, gli uomini di legge. Ma della “loro” Legge. Che vengono da lontano. Spietati, efficienti, amanti della morte dietro la facciata di Dio. Efferati “giustizieri”. Al posto degli spolverini impolverati: armature e tuniche con la croce di ferro di un ordine militare.

E poi, il Magister, l’”uomo senza nome e senza passato” (almeno per gli abitanti di Korekainé), degno “cavaliere pallido” di eastwoodiana memoria.

Non mancherà, ovviamente, un efficace e cinematografico duello finale. Anche se all’arma bianca.

Insomma, commistione singolare e convincente. Un equilibrio tra generi che regge senza incertezze.

Il Magister è proposta dalla TEA DUE, come “original”.

La collana definisce “originals” quei testi, inediti per il nostro mercato editoriale, pubblicati direttamente in tascabile

Il volume è stampato in un’edizione speciale rispetto allo standard dei tascabili TEA: formato più grande del solito, grafica particolare, brossura con risvolti di copertina, 308 pagine, prezzo leggermente più alto.

L’autore è il francese Gilles Salvini, un professore di Storia nelle scuole superiori, profondamente appassionato e studioso dell’Europa medievale, con particolare riferimento all’area mediterranea e balcanica.

Salvini è al suo primo romanzo, ma questo esordio merita senz’altro segnalazione.

Non grido al capolavoro, né posso affermare sia una novità assoluta se analizziamo il puro canovaccio e risaliamo agli spunti che ritengo possa averlo originato, ma di sicuro un lavoro estremamente godibile che, soprattutto, si discosta, grazie ad una “sua” marcata, personalità dalle impostazioni di svariati dei gialli storici approdati in libreria di recente. Per la soddisfazione e il divertimento di chi scrive, e di chi legge. Insomma, propria una gradita scoperta.

Sì: ho motivo di credere che ritroveremo, tardi o tosto, Lupo di Pietravecchia. Anzi, ci conto proprio.