L’alba su Manhattan non è (ancora) quella dei morti viventi: la spessa coltre di polvere e detriti liberata dal crollo dei palazzi (e delle nostre bugiarde certezze) è di là da ammantare gli attoniti e terrorizzati abitanti della città.

Ora, per l’obiettivo della videocamera conta solo la placida frenesia del vivere quotidiano oltre le vetrate dell’appartamento e il corpo nudo di una ragazza che sonnecchia beata fra le lenzuola. Viva la vita, in un incipit di “banale” bellezza che stringe il cuore in prospettiva.

E il viso e il sorriso della fanciulla fra le coltri è uno dei viatici per l’orrore più detonanti dalla prima apparizione di Milla Jovovich in Resident Evil.

La scheda di memoria documenta altri momenti di vita a due degli innamorati ragazzi, Rob e Beth, per poi fissare meticolosa le fasi di una ben organizzata festa di addio che gli amici dedicano a Rob.

E’ passato qualche giorno dalla notte d’amore con Beth e i rapporti fra i due soffrono degli scricchiolii dovuti a una passione scoppiata senza chiedere permesso e gravida di impegni che non è detto si sia pronti a onorare. Soprattutto se un aereo ti aspetta per portarti in Giappone fresco di incarico da vicepresidente.

Beth si presenta al party accompagnata da un non meglio identificato ragazzo; Rob si rifugia sulle scale antincendio con il fratello e sempre tallonato dall’amico Hud, al quale è stato fatto carico di filmare tutto, ma proprio tutto, l’evolversi della festa.

Il cuore spezzato e i dubbi da innamorato impreparato sembrano d’un tratto diventati il fulcro di tutto l‘universo conosciuto, niente è più importante di sapere chi è quel ragazzo ospite non gradito.

Niente. Almeno fino a quando quella che sembra una fortissima scossa di terremoto non fa affrettare in strada la città. E La testa della Statua della Libertà non piomba, letteralmente, fra gli stupefatti e confusi astanti. L’Handycam inizia a riprendere senza sosta lo spettro dell’11 settembre impresso a fuoco sul volto di tutti. Ma l’11 settembre è passato e quando puoi reagire e combattere contro i tuoi stessi simili la paura è di quelle che si possono domare. Se il pericolo, però, assume le oscene e smisurate forme di un mostro partorito da chissà quale inferno, beh, allora non resta che correre, e ancora correre.

Sulla spinta ideativa di J.J. Abrams, produttore cult (le serie televisive Alias e Lost) e regista dell’ultima e sottovalutata Mission: Impossible di Tom Cruise, Matt Reeves realizza e vince la sua di missione impossibile: bonificare dalle ragnatele l’abusata struttura del cinema di mostri e regalare al pubblico un punto di non ritorno del genere.

L’idea di base è semplice quanto geniale: riproporre gli snodi narrativi caratteristici del film alla Godzilla filtrati dall’occhio dello spettatore. Inteso come parte attiva del racconto. Già, perché l’intera pellicola è girata in soggettiva. Nel dettaglio, è Hud che si fa forza e riesce a certificare il terrore che serra le viscere e l’implacabile furia distruttrice del mostro.

Le riprese traballanti e sgranate acuiscono la sensazione di stare assistendo a un massacro che riesce davvero difficile catalogare come di finzione, e di finzione fantascientifica. La scritta a cura del Ministero della Difesa che introduce la visione avalla poi la percezione di veridicità degli avvenimenti che di lì a poco verranno snocciolati sullo schermo.

Coraggiosa mancanza del commento musicale, efficacemente sostituito dai ruggiti dell’immonda bestia, dai boati dei carri armati e dalle urla senza fine degli sventurati umani. Disagio sulla poltrona del cinema, si viene tentati di occhieggiare alle uscite per tirare un respiro profondo e abbracciare la moglie o la fidanzata. D’altro canto, si sa, l’amore è sempre l’effetto speciale più sorprendente. E i frames sopravvissuti alla iniziale disattenzione nel non registrare su nastro vergine di Rob e Beth ghermiscono il cuore e se lo portano via.