Scrivere

Quando hai scoperto, e come, che avevi qualcosa da dire, che sentivi la necessità di scrivere? E quando hai iniziato e su quali argomenti? Quale è stato il percorso che hai affrontato prima di veder pubblicato un tuo romanzo? Hai ricevuto molti rifiuti?
Luca Tarenzi
Luca Tarenzi

A 27 anni, nel 2003, a causa di un sogno. E’ una storia che ho raccontato molte volte e, come sempre aggiungo, ho l’impressione che la gente non mi creda. La trama del mio primo romanzo, Pentar, è arrivata praticamente in blocco e mi si è dipanata davanti agli occhi in sogno, quasi come un film: c’era veramente poco da aggiungere e pochissimo da rielaborare. Al risveglio lo raccontai alla mia ragazza – che oggi è mia moglie – al solo scopo di farla ridere: lei invece mi disse subito “Scrivilo!” Sul momento non presi nemmeno in considerazione l’idea: non avevo né tempo né voglia, e comunque non credevo di esserne capace. Neanche a farlo apposta, due settimane dopo persi il lavoro che avevo all’epoca: di colpo mi trovavo con tutto il tempo del mondo, e anche con la necessità di tenermi mentalmente occupato. Così scrissi il libro di getto, in undici settimane febbrili, lavorando due o tre notti a settimana anche per dodici ore consecutive.

La mattina in cui lo finii la mia ragazza si svegliò e mi trovò seduto sul letto che guardavo il muro e sorridevo da solo come una scimmia isterica. Per trovare un editore occorsero più di due anni: per mesi spedii il manoscritto a tutte le case editrici grandi e piccole che mi vennero in mente, collezionando qualche lettera prestampata di rifiuto e varie decine di silenzi; ma è una storia ben nota, persino chi non ha mai tentato di farsi pubblicare la conosce già. La pubblicazione alla fine venne per caso, o forse fatalità: conobbi Andrea Carlo Cappi, scrittore e redattore capo di Alacran, durante una serata a cui ero presente solo per accompagnare un’amica; chiacchierammo di libri e lui mi chiese di leggere qualcosa di mio. Gli mandai Pentar per gentilezza, senza particolari speranze: invece pochi mesi dopo mi ricontattò e mi disse che gli era piaciuto al punto da volerlo pubblicare.

Come e quando nascono le idee per i tuoi romanzi e da quali esigenze sono mossi? Da dove “nascono” le tue storie? Da dove i tuoi personaggi?

Le idee sono funghi: spuntano dove e quando pare a loro, solitamente senza annunciarsi. Spesso mi ha ispirato la musica: più di un mio scritto è nato da una canzone. Anche le conversazioni con mia moglie, che è la mia prima fan e la mia più severa critica, sono una fonte assicurata di eccellenti suggerimenti. Un procedimento che torna ossessivamente a visitarmi è quello del ribaltamento, prendere un argomento classico e rivoltarlo: mostrate gli aspetti ridicoli di una vicenda tragica, raccontare una storia nota dal punto di vista del “cattivo” anziché da quello dell’eroe e via dicendo. Quanto ai personaggi, “prendo a prestito” moltissimo dalle persone che mi circondano: quasi tutti i miei personaggi hanno la faccia di qualcuno che ho conosciuto, o suoi tratti caratteriali. E la cosa più divertente è rivelarlo all’interessato, naturalmente dopo avergli fatto leggere la storia: le reazioni più impensabili sono assicurate.

Antico e sempre attuale dilemma: pensi che scrivere sia dote innata o che si possa imparare, anche con le "nuove tecniche di scrittura"?

È una domanda alla quale non ho risposta, e sulla quale in effetti non  ho mai meditato molto. Io ho imparato a scrivere leggendo – senza falsa modestia, nella mia vita ho letto tanto, davvero tanto – ma conosco autori molto più bravi di me che lo hanno fatto sui manuali di scrittura creativa e/o nei corsi appositi: un esempio fra tutti, il già citato Jim Butcher. Ma in questo caso si potrebbe anche pensare che la domanda semplicemente si sposta di un gradino: corsi e manuali “formano” davvero o fanno solo emergere un talento che c’era già? A questo non saprei davvero rispondere.

Sei uno scrittore lento o veloce, meditativo o istintivo? Tecnica a macchia di leopardo o disciplinato con ruolino di marcia? Imbrigli i personaggi o lasci che siano loro a decidere quale percorso deve seguire la vicenda?

Sono uno scrittore “a scatti”. Scrivo anche per dodici ore di seguito e poi non tocco più la tastiera per tre settimane. Devo farlo quando “mi viene”: se aspetto la voglia passa e le idee evaporano. Il risultato è che mi riesce molto difficile calcolare in anticipo quanto impiegherò a completare un lavoro. Prima di iniziare aspetto di avere l’intera storia in mente, ma di solito non nei dettagli. Non prendo appunti scritti, se non quando ho davvero paura di incasinarmi (in particolare se sono coinvolti numeri: le cifre mi mandano subito nel pallone…)  Di solito scrivo ordinatamente, dal primo capitolo all’ultimo, ma ho violato questa “regola” più di una volta. Rileggo mille volte lo stesso passaggio, faccio decine di cambiamenti, poi quasi inevitabilmente riporto tutto a com’era in origine. I personaggi hanno assolutamente la tendenza a prendermi la mano e a pretendere di fare quello che vogliono loro anziché quel che vorrei io, soprattutto quelli femminili: gli uomini sono un po’ più prevedibili, le donne tutt’altro. Qualche volta riesco a costringerli, più spesso no, ma ho imparato ad accettare la cosa e a trovarla persino divertente.