L’immortalità: il sogno più grande e sfuggente dell’uomo, l’ambizione di spezzare le catene oscure che lo imprigionano alle implacabili leggi dell’esistenza terrena.

Alchimisti, maghi, filosofi, letterati, visionari e pazzi, ognuno sedotto dall’ambizione bruciante di svelare i misteri della vita, di intraprendere il cammino verso traguardi impensabili.

Se questa attraente chimera divenisse realtà?

Impossibile nella quasi totalità degli universi conosciuti, tranne che in un remoto, particolare mondo a forma di disco, precariamente appoggiato sul dorso di quattro elefanti a loro volta appollaiati sul carapace della Grande Tartaruga A’thuin.

Da quelle parti il corso naturale degli eventi viene spesso deviato, attorcigliato e stravolto da circostanze improbabili eppure perfettamente plausibili.

A patto di accettare una dose massiccia di geniale follia.

 

Questa è la premessa alla base del Tristo Mietitore, l’ennesimo piccolo e stupefacente capolavoro di Terry Pratchett, un vero manuale dell’arte fantastica in salsa ironica, un brillante compendio di trovate uniche e perfette.

Immaginate Morte sul suo bianco destriero, la fida falce levata minacciosamente, pronta a mietere la prossima anima. Un’immagine decisamente inquietante, così pregna di ineluttabilità da essere scolpita nei nostri stessi geni. Ma i tempi sono maturi per inaspettati cambiamenti: l’imperturbabile scheletro incappucciato non riscuote più i favori delle alte sfere, ha peccato di individualità e il suo operato non è più richiesto.

Morte viene licenziato in tronco e rispedito sul mondo senza troppi complimenti.

Il posto di lavoro meno ambìto e più sicuro è improvvisamente vacante e nessuno si prende cura delle essenze vitali giunte alla fine del cammino.

 

Di fatto l’immortalità è cosa reale e tangibile. Ma non è il caso di festeggiare per le strade della capitale Ankh-Morpork, non è l’alba radiosa di una nuova era di prosperità e benessere: sarebbe troppo comodo.

L’energia vitale è un fatto concreto - pur se non scientificamente misurabile – e l’assenza di dipartite regolamentari ne provoca un pericoloso accumulo, come un bacino artificiale che sale di livello fino a minacciare l’integrità strutturale della diga.

All’inizio le anomalie sembrano poca cosa: viti, bulloni e arredi acquistano vita propria, imitati da ciottoli e oggetti d’uso comune.

 

In una situazione tanto instabile quanto oscura vien fatto di pensare che solo l’Università Invisibile, depositaria del vero e unico sapere magico sul Mondo Disco, possa scongiurare guai peggiori.

Di sicuro i nobili ed eruditi pensatori, con i loro austeri cappelli a punta, potrebbero destreggiarsi tra i misteri con facilità se non dovessero preoccuparsi di Windle Poons.

L’anziano mago ha deciso, dopo un’esistenza morigerata e ultracentenaria, di violare l’ultima e più fondamentale delle regole: morire e continuare a muoversi tra i vivi, novello zombie arzillo e decisamente scomodo!

E’ forse questa la parte migliore dell’intero romanzo: gli spassosi tentativi dei maghi di rendere definitivamente cadavere il loro macabro ex collega. Seppellimenti al crocevia, intricate teorie e un generale senso di comica impotenza di fronte al vecchietto redivivo e più in forma che mai.

 

Mentre il simpatico Poons cerca una propria dimensione – aiutato da un improbabile movimento pseudosindacale per i diritti dei non-morti – il Mietitore disoccupato rivolge altrove i propri indiscussi talenti. Assunto in una piccola e sgangherata fattoria, Morte scopre lentamente il significato del tempo, del gusto di assaporare ogni attimo sapendo che la parentesi terrena è tutt’altro che infinita.

Occhi imperscrutabili e aridi si posano sulla realtà della fatica e della miseria, dei minuscoli piaceri quotidiani che, seppur lontani e ancora alieni alla sua tetra esperienza, gli consentono di elaborare una particolare filosofia.

Anche il raccolto va rispettato nella sua effimera vita, acquistando dignità e comprensione nell’atto della morte, purché questa non sia un gesto impersonale e meccanico. La metafora della mietitrebbiatrice, insensibile strumento di taglio massivo, contrapposta alla cura di Morte che recide uno stelo alla volta, aiuta a comprendere il senso di questi ragionamenti.

 

Un vago sentore di epica western si avverte quando, sotto nubi di tempesta nella più classica delle notti di tregenda, la nuova Morte affronta quella vecchia.

Passato e futuro, personalità contro fredda efficienza, dovere contrapposto a passione. La fine della vita è l’atto conclusivo con cui dare senso a tutta l’esistenza e, sotto certi aspetti, è facile prendere le parti di un Mietitore che si sforza di comprendere le anime che recide. E’ una piccola magia di Pratchett quella di farci tifare per uno scheletro alto due metri, avvolto in un mantello di oscurità e depositario del nostro destino.

Riflessioni filosofiche, quindi, ma anche acuminate considerazioni sociali, garbate satire sulla civiltà dei consumi.

 

Mentre le fondamenta della vita vengono scosse da questi grandi mutamenti, la città di Ankh-Morpork subisce un subdolo e pericoloso attacco.

Le metropoli sono immensi organismi che esistono grazie all’energia degli abitanti, la linfa che scorre per strade e vicoli, lo sciame che aziona meccanismi e muove le strutture dell’economia. Come ogni complessa entità, anche l’agglomerato urbano è soggetto alle ingiurie dei parassiti, creature che si cibano impunemente di risorse non loro.

Una sferragliante invasione di carrelli da supermercato cala per le arterie della capitale attonita, mentre un gigantesco centro commerciale, reso allettante da offerte di sconti e saldi imbattibili, prende forma appena fuori le mura cittadine.

Questo mostro architettonico emerge lentamente dalle pagine, descritto con sottile ambiguità, presentato con gli occhi di osservatori ignari e incauti. Quale trappola migliore per attirare una folla curiosa?

Vecchietti che scoprono di esser vivi e utili solo dopo aver esalato l’ultimo respiro, la Morte stessa che riconsidera il proprio operato nell’ottica della comprensione universale e l’amara verità di un mondo dominato dal consumo e da esso soffocato.

 

E’ possibile ridere con questi concetti, vederli nel contesto di un pazzo e frenetico fantasy umorista, ma qualcosa resta appiccicato alle dita, dopo aver chiuso il libro, qualcosa di vagamente triste e pernicioso. Come per ogni lavoro di Pratchett, esistono strati deposti su altri strati, veli adagiati su ragnatele e luci filtrate e nascoste, svelate poco alla volta, spesso solo intraviste.