Lissy Lunies è una donna anziana schiacciata da un presente che le sfugge di mano: deve prendersi cura del marito Gerd, ormai preda della demenza senile, mentre lei stessa affronta gravi problemi di salute. Intorno ha una famiglia sfilacciata che cerca di tenere insieme i pezzi. Tom, il figlio maggiore, è un direttore d’orchestra preso tra le prove di una complessa partitura scritta da un amico geniale ma depresso, e un’improvvisa responsabilità: quella di occuparsi della figlia in arrivo della sua ex compagna, pur non essendone il padre. Ellie, sorella minore, è assistente in uno studio dentistico, ma la sua vera dipendenza è l’alcol. Da tempo ha tagliato i ponti con tutti. Quella dei Lunies non è solo una famiglia in crisi ma disgregata, in cui ognuno combatte in silenzio la propria battaglia contro la fragilità dell’esistenza.

Matthias Glasner affronta il tabù della morte con uno sguardo impietoso che non scivola nel cinismo ma si nutre di ironia nera. Il film è una tragicommedia feroce alternando momenti grotteschi a scene drammatiche di sofferenza quotidiana, in dissolvenza tra risate sgradevoli e lacrime sincere. Il premio Orso d’Argento per la sceneggiatura alla Berlinale 2024 testimonia il rigore formale con cui lo script costruisce un equilibrio dinamico tra commedia postmoderna e disfacimento familiare. Lars Eidinger incarna Tom con freddezza e ambizione, ma anche con una vulnerabilità glaciale: il suo rapporto con la madre è il cuore emotivo del film, una dialettica fredda che si scioglie in un confronto visivo e verbale crudo come un minuetto bergmaniano. 

Lo spartito della vita
Lo spartito della vita

La figura di Tom come direttore d’orchestra e alter ego del regista consente a Glasner di trasformare Lo spartito della vita in una riflessione sul ruolo dell’arte nel comprendere l’esistenza. La composizione Sterben diventa metafora della lotta per dare forma al dolore: anche una prova tecnicamente perfetta può risultare priva di significato se priva di anima, un concetto esplorato attraverso le ripetute sessioni orchestrali condotte con rigore e tensione crescente. Chiave è il richiamo costante a Ingmar Bergman—citazioni a Fanny e Alexander, dialoghi sul rimpianto, incursioni infantili (una bambina che ammonisce gli spettatori via smartphone) che evocano Sussurri e grida, che strutturano il film come un rito iniziatico su genesi e fine della famiglia e del cineasta stesso. Nonostante una certa lentezza narrativa e qualche digressione eccessiva, Lo spartito della vita offre uno sguardo intensamente personale e poetico sulla memoria e sulla disgregazione consapevole dei legami affettivi, un film che respinge moralismi e sentimentalismi per abbracciare un disincanto carico di autenticità.

Lo spartito della vita è un’opera ambiziosa e contraddittoria che trasforma il lutto personale di Glasner in un mosaico famigliare carico di humour macabro e poesia silenziosa: un film che oscilla tra disgusto e bellezza, e che, proprio nella sua crudezza, trova la forza di parlare della vita con un’intensità rara nel cinema contemporaneo.