Il tuo esordio sugli scaffali delle librerie risale a cinque anni fa con due libri per bambini di due anni, A Natale fanno pace e La mucca fa bee… Negli anni successivi sono seguiti La maledizione del lupo marrano, pensato per bimbi dai cinque anni in su, e poi Pennino Finnegan e la fabbrica di baci e due storie aventi per protagonista lo stesso personaggio, Willy Morgan: Il fantastico viaggio di Willy Morgan e Willy Morgan e l’isola dei cinque anelli. Se questi romanzi erano destinati a lettori di almeno otto anni, con Il mummificatore l’età del tuo pubblico si alza ancora.
È una scelta consapevole, o semplicemente hai scritto le storie che ti interessavano e la crescita del tuo pubblico è solo un fattore casuale?

No, non è una scelta consapevole. Solo, come dici tu, scrivo in base alle idee che mi vengono.

Se credo di averne una buona, una di quelle che mi fanno alzare dal letto di notte prima di addormentarmi per scriverla di corsa su un taccuino, beh, allora la seguo, le vado dietro cercando di confezionare una storia che mi sembri interessente. Questo, indipendentemente dal pubblico cui è diretta. È l’idea il punto fondamentale, il punto di partenza.

Forse, con il passare del tempo, però, ho cercato di scrivere storie sempre più “complesse”, che avessero sempre più rimandi, con trame più arzigogolate. E questo mi ha portato necessariamente verso un pubblico più adulto, capace di seguirle senza perdersi. Almeno spero!

Quale differenza c’è fra lo scrivere un libro per i più piccini e scriverne uno per lettori più maturi?

Nei libri per ragazzi, soprattutto quando sono molto piccoli, il messaggio deve essere subito evidente, lampante. Non puoi usare metafore: quello che vuoi dirgli glielo devi dire chiaramente.

Magari nascondendolo in una storia divertente, condito con elementi buffi o surreali. Ma non devi lasciare dubbi: alla fine del racconto tutti gli elementi devono riportare a quel messaggio che hai deciso di trasferire loro.

E poi i cattivi non sono  mai veramente cattivi.  Hanno sempre un lato positivo nascosto in fondo al cuore. Un lato che alla fine prevale e li trasforma in buoni.

In questo caso invece, ho potuto immaginare un cattivo “cattivo” e basta.

Uno che uccide per il puro piacere di farlo. E mi sono divertito da pazzi!

Nicola Brunialti
Nicola Brunialti
Il mummificatore presenta intrecciate fra loro due trame che solo apparentemente sono molto lontane: una vicenda paranormale, ambientata nel mondo dei fantasmi, e un thriller, ambientato nella nostra realtà. Cosa ti ha spinto ad accostare due situazioni tanto diverse fra loro? C’è qualcosa che ti ha creato problemi, o di cui sei particolarmente soddisfatto, nella costruzione di questa storia?

Credo che spesso la forza di certe storie stia proprio nell’accostamento di elementi apparentemente distanti. Come diceva Salvador Dalì, se prendi un’aragosta e un telefono e li lasci separati non avrai niente più che un’aragosta e un telefono. Ma se gli unisci, formando un unico oggetto, un telefono con un’aragosta come cornetta, hai ottenuto qualcosa di incredibilmente nuovo ed originale.

Questo è quello che cerco di fare sempre nelle mie storie: lasciare spiazzati i lettori, lasciarli per un attimo confusi di fronte a qualcosa di inaspettato.

In questo caso, credo che l’unione di due vicende così diverse fra loro, sia proprio uno dei punti forti di tutto l’impianto narrativo.

È proprio questa la cosa che più mi ha soddisfatto in questo nuovo lavoro: essere riuscito a unire due generi narrativi apparentemente incompatibili.

Anche se la vera forza del racconto sta nell’idea di partenza.

Una seduta spiritica al contrario, una seduta “vivitica”, in cui sono i fantasmi ad evocare i vivi. Avevo letto e sentito parlare migliaia di volte di sedute spiritiche. Ma alla seduta vivitica nessuno ci aveva ancora pensato…

Il mondo dei fantasmi presenta un esilarante effetto di straniamento, con alcune situazioni ribaltate rispetto alla nostra realtà. Il rischio, da un lato, era di non rendere chiara la distanza fra i due mondi, e dall’altro di rendere l’altra realtà una semplice caricatura della nostra. Che genere di lavoro comporta creare una costruzione credibile senza esasperare troppo i dettagli?

Credo che il rischio più grosso fosse quello di replicare la Famiglia Addams, che tra l’altro io adoro! In questo caso però la mia famiglia di fantasmi, la famiglia Gospel, vive in un mondo inverso al nostro, il mondo “di sotto”, in cui le regole sono subito ben chiare.

E lo straniamento è solo della povera Sophie che si ritrova in un paese in cui le case più sono diroccate più sono eleganti, il pane è buono solo quando è ammuffito, si tengono i pipistrelli nelle gabbie degli uccellini e l’aria fresca fa malissimo ai bambini.

Mi sono divertito molto a scegliere quali elementi ribaltare, pescando fra migliaia quelli che avessero senso in un mondo di fantasmi, un cosmo di trapassati, necessariamente cupo e polveroso.

Per il resto invece, molti aspetti sono identici al nostro mondo, il mondo “di sopra”: i bambini vanno a scuola, i genitori al lavoro, la polizia controlla che tutto funzioni e i ragazzi si baciano fuori le scuole. In fondo la morte ci rende “vivi” in un altro modo.

Il tutto, cercando, come dici tu di non rendere mai gli spettri delle “macchiette”, delle stupide caricature dei vivi. Credo che siamo noi le migliori caricature di noi stessi!

Le tue storie, pur con tutti i loro elementi divertenti, presentano sempre un tema importante. Parli di pace, della realtà, del bullismo, della crescita e dell’importanza dei sentimenti, dell’amicizia e della forza dell’immaginazione, fino ad arrivare con questo romanzo al contrasto fra il sacrificio per il bene della persona amata e l’egoismo di chi è disposto a tutto pur di ottenere ciò che desidera. Quanto sono importanti per te questi temi?

Sono fondamentali. Sai, l’idea di lanciare un messaggio è tipico della scrittura per ragazzi. Cerco sempre di parlare loro di grandi temi, passando attraverso storie divertenti, mischiando avventura e tematiche più “serie”. In questo caso, pur in una favola horror per adulti, mi sono portato dietro dal mondo dei ragazzi proprio il desiderio di nascondere nel racconto un tema importante che tu hai colto perfettamente: ci sono  persone che per gli altri darebbero la vita e persone che invece quella vita la tolgono agli altri. Certo, nel nostro mondo, questo togliere la vita, è quasi sempre solo in senso metaforico. Ma è pieno di Mummificatori di sentimenti, Mummificatori di vite altrui!

Prima di iniziare a scrivere ti sei occupato di pubblicità. C’è qualcosa di quell’esperienza che è entrata anche in questa nuova attività?

Come ti dicevo, nella pubblicità, così come nella scrittura, è imprescindibile partire da un’idea.

E gli spot, almeno per come li vedo io, non sono altro che piccole storie.

Storie di 30” in cui devi riassumere un racconto che abbia un inizio, uno svolgimento e una fine.

In fondo è quello che succede anche in un libro. Ma per fortuna in un libro hai tutte le pagine che vuoi!

Puoi accennare a qualche progetto futuro?

Beh, dopo aver scritto due libri in un anno mi sono preso qualche mese di pausa. Ora però sto ragionando su una nuova storia. Qualcosa che unisca, come per Il Mummificatore, la nostra realtà e quella del soprannaturale. C’è forse qualcosa di più divertente?